Occorre creare un movimento di opinione per ridare centralità al Parlamento Europeo togliendola ai burocrati di Bruxelles. Un modo per evitare che transizioni come quella green vengano imposte dall’alto, rischiando, come sta succedendo, di mettere in ginocchio l’intero settore automotive. La strada, osserva Giulio Sapelli, professore emerito di storia economica alla Statale di Milano, è quella della sussidiarietà, della collaborazione tra Stato e mercato, dei piani di sviluppo realizzati consultando le aziende e i sindacati. E per quanto riguarda il Patto di stabilità, occorre ripensare a una Costituzione europea che permetta una revisione dei trattati.
Intanto l’Europa fa i conti con un’industria che rischia il collasso: non per niente il presidente di Unindustria Cassino, Francesco Borgomeo, ha chiesto ai partiti un intervento deciso che cambi lo scenario entro il quale devono muoversi le aziende dell’automotive, perché altrimenti “il sistema crolla”. Ma a tutto questo si è arrivati per la scarsa lungimiranza proprio della “burocrazia celeste europea”.
Secondo il presidente di Unindustria Cassino, gli imprenditori sono pronti a dire ai partiti che se non cambiano le cose il settore automotive consegnerà le chiavi delle aziende: il sistema così com’è non sarebbe risanabile. Come si è arrivati a tanto?
La Volkswagen, dopo più di un secolo, vuole chiudere alcuni stabilimenti in Germania. L’intreccio tra sanzioni nordamericane ai russi, che vuol dire aumento del prezzo del gas, e la normativa UE, per cui entro il 2035 dovremo avere solo macchine elettriche, ci ha portato a questo. Eppure il numero di auto elettriche acquistate è sempre maggiore di quelle in circolazione: vuol dire che le comprano le persone abbienti. E questo succede in tutta Europa. La burocrazia celeste dell’Unione Europea si è impossessata del mondo. I mandarini hanno distrutto l’antica Cina consegnandola agli Stati capitalistici coloniali, e nella UE una burocrazia impazzita e ideologica sta rovinando l’industria automobilistica europea, il che vuol dire distruggere l’industria tout court: insieme all’edilizia, è il settore che genera il maggior numero di componenti. Quanto alle dichiarazioni degli industriali, quindi, dico: finalmente un po’ di indipendenza e coraggio, dovrebbero farlo tutti.
Ma questa situazione è anche responsabilità delle imprese?
Sì, ma non mi pare che siano tra i decisori della burocrazia celeste. L’Unione Europea è un sistema oligarchico di governo, dove si va avanti per ereditarietà. Il padre della von der Leyen (Ernst Albrecht, ndr), illustre intellettuale, è stato il primo direttore generale della UE. È una casta. Ricevo insulti perché dicono che attacco la UE, ma io non ce l’ho con l’Unione Europea, bensì con questa UE.
La situazione economica in UE è sempre più critica. Come se ne esce?
Bisogna ridare un peso al Parlamento Europeo, fare in modo che possa decidere. Ora non serve a niente, attua solo le direttive. Occorre cambiare le regole: le transizioni non si fanno per legge, ma con la cooperazione, c’è il principio di sussidiarietà. Stato e mercato, impresa e parlamento devono cooperare. Ma se le imprese non vengono consultate, non si va da nessuna parte. Si deve creare un movimento di opinione per cambiare questo modo di procedere.
Piero Cipollone, ex Banca d’Italia e ora nel board BCE, dà una ricetta della crescita che comprende aumento dei salari, taglio dei tassi, investimenti, stimolo della domanda e produttività. Una direzione opposta a quella in cui si sta andando ora.
È una persona orientata nel modo giusto, la pensa come il nuovo governatore della Banca d’Italia, Panetta, che ha delle idee non conformiste. C’è la possibilità di fermare la burocrazia celeste, ma bisogna farla finita con le transizioni dall’alto, devono partire dal basso. E questo non riguarda solamente l’automotive. Occorre consultare le aziende, consultare i sindacati, che sono scomparsi. Dove è finita la CES, la Confederazione Europea dei Sindacati? È scomparsa. Anche i lavoratori adesso si devono dare da fare: io sono un ammiratore dei sindacati tedeschi, sono un fautore della Mitbestimmung, della cogestione dell’azienda, non da parte dei sindacati, ma dei lavoratori. La contrattazione ai sindacalisti, la partecipazione alla gestione dell’impresa ai lavoratori.
I giornali francesi dicono che Parigi dovrebbe affrontare un piano da 100 miliardi di euro di tagli in quattro anni. C’è qualcuno che è messo peggio dell’Italia, anche se non lo si dice?
Macron è completamente impazzito, ha nominato primo ministro Barnier: un ex gollista di destra. Mi sembra difficile che ce la faccia con i voti che ha preso France Insoumise. La Francia, però, non è messa peggio di noi: è vent’anni che non cresciamo, loro da un paio di anni. Peggio di noi ci sono Spagna e Grecia.
E i dati che certificano un sia pur minimo aumento del nostro Pil?
Sono sbadigli. Le statistiche vanno viste in serie storica, mica in un giorno, questi sono piccoli balzi.
Si è tornati a parlare del rapporto Draghi, commissionato per immaginare il futuro dell’Unione Europea. Che indicazioni possono arrivare da questo documento?
Non so chi rappresenti Draghi, chi lo abbia eletto e a nome di chi parli. È un uomo per bene, ma sono i politici che devono pensare a un piano.
L’Europa deve cambiare la sua politica industriale, ma non dovrebbe rimettere mano anche al Patto di stabilità?
Siamo in questa situazione perché Paesi con governi legittimi hanno firmato trattati: per cambiare le regole dovrebbero modificare i trattati. E per farlo bisogna dare all’Europa una Costituzione democratica. Nel 2005 Francia e Danimarca hanno bocciato questa soluzione, ma bisogna riprendere la via costituzionale. Fino a che non lo si farà, si è costretti a rispettare i patti, anche se sono scomodi.
(Paolo Rossetti)
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