L’Italia è ormai il Paese dell’Unione monetaria europea più virtuoso dal punto di vista dell’inflazione, quello in cui i prezzi al consumo crescono di gran lunga meno rispetto a tutti gli altri. Si tratta di un risultato quasi incredibile se si pensa al lungo periodo dell’alta inflazione italiana, il quindicennio circa che va tra la prima crisi petrolifera del 1973 e il controshock petrolifero del 1986-87, o forse dovremmo dire il periodo più lungo, il ventennio che termina con gli accordi sul costo del lavoro e le politiche dei redditi coi quali il Governo di Carlo Azeglio Ciampi del 1993-94 ottenne dalla organizzazioni sindacali il completo superamento del meccanismo di scala mobile.
Sta di fatto che all’epoca eravamo tra i peggiori e risultava molto difficile, anche quando il fenomeno era in attenuazione, comprimere il nostro differenziale d’inflazione, lo scarto tra i maggiori tassi italiani di crescita dei prezzi e quelli dei Paesi all’epoca virtuosi come la Germania. Spesso capitava di osservare (e chi scrive nella seconda metà degli anni ’80 lavorava proprio in un gruppo di studio di analisi econometrica e previsione dell’inflazione) riduzioni del tasso tendenziale italiano che però risultavano le stesse di quello tedesco, conservando dunque uno zoccolo duro d’inflazione in Italia, pari alla differenza tra i due, che all’apparenza risultava del tutto inscalfibile. Per venirne completamente fuori si dovette attendere la metà degli anni ’90 e la preparazione del nostro ingresso nella moneta unica che vedeva tra i cinque criteri di ammissione proprio quello di un differenziale minimo (un punto percentuale e mezzo) tra l’inflazione tendenziale di ogni Paese candidato e quella derivante dalla media aritmetica dei tre Paesi più virtuosi.
Se ora si rispolverasse quella regola noi saremmo proprio i più virtuosi tra i tre più virtuosi… Infatti, secondo le stime preliminari rese note ieri dall’Istat nel mese di febbraio 2024 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), che a differenza di quello europeo armonizzato include i tabacchi, è aumentato dello 0,1% su base mensile e dello 0,8% su base annua, confermando il tendenziale del mese di gennaio. Febbraio è il quinto mese consecutivo in cui il tendenziale è inferiore al famoso 2% che è il valore obiettivo classico dei banchieri centrali e anche, in maniera esplicita, quello della Bce. Non solo siamo sotto il 2% da cinque mesi, ma lo siamo anche abbondantemente, con gli ultimi quattro dei cinque mesi in cui siamo stati non solo sotto il 2% ma anche sotto l’1%…
Nessuno risulta aver fatto meglio di noi (ad eccezione della Lettonia con lo 0,7%, ma qui, come per tutti gli altri Paesi dell’Unione monetaria, è calcolato sull’indice europeo armonizzato): in Germania l’inflazione al consumo è stimata in febbraio al 2,7%, lo stesso dato dell’Olanda; in Francia al 3,1%, quasi quattro volte noi; in Spagna al 2,9%, in Belgio al 3,6%, in Austria al 4,2% e nell’intera Euro area al 2,6%, in calo rispetto al 2,8% del mese precedente.
Il famoso differenziale d’inflazione che tanto ci preoccupava negli anni ’80 e primi ’90 ora gioca a nostro favore ed è dunque di due punti rispetto all’Euroarea. Ma questa virtù è tutt’altro che premiata se si considera che gli alti tassi della Bce sono uguali per tutti e che per noi che abbiamo l’inflazione più bassa si collocano a livello record in termini reali: 4,5 punti nominali del tasso di riferimento Bce meno 0,8 d’inflazione fanno in Italia 3,7 punti in termini reali, ma in Germania e Olanda, sottratti 2,7 punti d’inflazione fanno solo 1,8 punti reali (e in Austria appena tre decimi di punto reali, una volta detratta l’inflazione al 4,2%).
Il buon dato italiano deriva come al solito da dinamiche non omogenee tra i differenti comparti: hanno dato una mano importante i prezzi dei beni alimentari, sia non lavorati che lavorati, il cui tendenziale complessivo è sceso dal 5,6% di gennaio al 4%, compensando in tal modo l’attenuazione della spinta disinflattiva dei beni energetici il cui tendenziale è stato in febbraio del -17,3%, in parziale risalita dal -20,5% di gennaio. I beni diversi dagli energetici e dagli alimentari hanno registrato a loro volta un tendenziale in attenuazione, dal 2,0 all’1,7%, mentre il vasto comparto dei servizi è rimasto fermo al 2,9%. Infine, i numeri dell'”inflazione di fondo”, che al netto degli energetici e degli alimentari freschi è scesa dal 2,7% al 2,4%, mentre quella al netto dei soli beni energetici dal 3% al 2,7%, in ambedue i casi avvicinandosi al tasso obiettivo del 2%.
A questo punto il discorso si sposta dalla dinamica dei prezzi a quella dei tassi di riferimento della Bce… Cosa farà il board della Banca centrale nei prossimi mesi, così saldamente e ideologicamente ancorato alla “dittatura” del tasso tendenziale d’inflazione? Probabilmente non farà nulla e dunque farà male o malissimo, aggravando le tendenze recessive delle economie europee. Una sola cosa è certa, che non abbia letto le nostre precedenti analisi, che vale sempre la pena di richiamare per i lettori del Sussidiario.
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