L’inflazione italiana, secondo quanto comunicato ieri dall’Istat, a novembre è stata dell’11,8% annuale e dello 0,5% mensile. L’incremento dei prezzi annuale, in linea con il dato di ottobre, rimane ai livelli più alti dal 1984. Il dato sintetico non racconta la realtà perché le componenti relative ai prodotti alimentari (+13,6%) e quella per abitazioni e utenze (+56,3%) rimangono sensibilmente superiori alla media. Sono le voci meno comprimibili di un bilancio famigliare. A fare da contraltare si registra addirittura un calo alla voce comunicazioni e dati molto più contenuti nel comparto dell’abbigliamento (+3,1%) e in quello della ricreazione (+2,4%). È la conferma che l’aumento dei prezzi che le famiglie stanno subendo è molto peggiore di quello che raccontano i numeri ed è tanto più “cattivo” quanto più si scende nelle classi di reddito. La classe media, poi, che rimane esclusa da sussidi e contributi, paga il prezzo relativo più alto.
Questa è la premessa necessaria per inquadrare il problema anche dal punto di vista economico. Per gli investitori l’incremento dei prezzi può durare solo fino a che i consumatori non smettono di comprare stretti dalla distruzione del potere d’acquisto. L’inflazione non può durare, si dice, perché altrimenti arriva la recessione in assenza di incrementi salariali. L’Istat nel comunicato stampa pubblicato ieri spiega che “se nei prossimi mesi continuasse la discesa in corso dei prezzi all’ingrosso del gas e di altre materie prime, il fuoco dell’inflazione, che ha caratterizzato sin qui l’anno in corso, potrebbe iniziare a ritirarsi”. È una speranza che si scontra con una situazione geopolitica complicata e con le previsioni meteo per l’inverno. Anche in questo caso la previsione dell’Istat deve essere raccontata dividendo la componente di spesa incomprimibile da quella discrezionale. Il costo delle utenze può essere mitigato da una recessione solo in misura limitata. I consumi di gas e di elettricità in Italia non sono crollati neanche nella primavera del 2020 quando il Paese chiudeva per “lockdown”. L’industria alimentare è energivora: dai fertilizzanti, alla catena del freddo, dagli imballaggi alla logistica che porta il prodotto a pochi metri da casa.
Una recessione che facesse crollare i prezzi dei beni più discrezionali in assenza di una soluzione alla crisi energetica produrrebbe un dato “ufficiale” sull’inflazione grottesco, privo di qualsiasi attinenza con la realtà. Una parte della popolazione dalla classe media, inclusa, in giù continuerebbe a subire incrementi di prezzi ampiamente in doppia cifra perché i beni discrezionali escono dal bilancio famigliare ma non dal paniere dell’Istat. Questo è vero già oggi perché una famiglia che ha deciso di non comprare nuovi vestiti o di non andare più al cinema oggi subisce un incremento dei prezzi che è molto superiore all’11,8% “ufficiale”. In caso di recessione, se la crisi energetica continuasse, la divaricazione tra realtà e numeri esploderebbe.
Questo è un problema per gli investitori, per le banche centrali e ancora di più per la politica che rischia di non vedere un’enorme questione sociale e che invece deve essere intelligente nell’offrire uno scudo agli incrementi di prezzi più cattivi. Pensiamo all’aumento del costo dei mutui, oltre che delle utenze, e infine all’esplosione dei prezzi alimentari.
La crisi energetica rimane il primo problema economico, sociale e politico. Eppure nonostante la realtà che si sviluppa si leggono notizie, vere, a cui si fa fatica a credere. Ci riferiamo, per esempio, alla decisione del Governo olandese di offrire soldi agli agricoltori per comprare centinaia di fattorie e chiuderle per rientrare negli obiettivi di riduzione delle emissioni di nitrogeno dell’Unione europea. Se la notizia non fosse finita su Bloomberg quasi avremmo creduto a una boutade. L’Olanda, che è uno dei maggiori esportatori di prodotti agricoli pensa di poter comunque soddisfare la domanda interna, ma a livello europeo la decisione ha solo una possibile conseguenza: più inflazione alimentare.
Il combinato di crisi energetica e ideologia rischia di produrre un mostro che cova e cresce sotto il radar dei commenti economici. Sono commenti che leggono indici e dati con gli occhiali di sempre e non con quelli che servono oggi in uno scenario che non ha più niente a che fare con quello degli ultimi decenni.
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