Dopo quasi due anni in cui aveva tormentato i bilanci delle famiglie italiane, l’inflazione risulta improvvisamente scomparsa nel mese di ottobre dagli schermi dell’economia nazionale e anche altrove in Europa appare in netta ritirata. Ma cos’è successo con precisione? In base alle stime preliminari dell’Istat, rese note ieri, nel mese appena terminato l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale (NIC), comprensivo dei tabacchi, ha registrato una diminuzione dello 0,1% rispetto al mese di settembre e un aumento pari solo all’1,8 su base annua, realizzando un calo record di tre punti e mezzo rispetto al tasso tendenziale dello scorso mese, che era stato pari al 5,3%. In sintesi, due terzi del tendenziale dello scorso mese se ne sono andati via in un colpo solo, lasciandoci ora solo l’ultimo dei tre.
Pur con risultati meno evidenti, anche nel resto d’Europa l’inflazione appare netta riduzione. Nell’intera Eurozona le stime preliminari dell’Eurostat indicano infatti un abbassamento al 2,9% dal 4,3% del mese precedente, con un miglioramento di 1,4 punti. In Germania l’inflazione al consumo si sarebbe invece attestata al 3% dal 4,3% del mese precedente, in Francia al 4,5% rispetto al 5,7%, mentre in Spagna, unico caso tra le maggiori economia di lieve rialzo, al 3,5% rispetto al 3,3% di settembre. Possiamo dunque sostenere che vi sia stata in ottobre una drastica ritirata del fenomeno inflattivo?
La risposta è negativa e non per il fatto che il calo dell’inflazione non sia avvenuto, bensì per il suo esatto contrario: l’arresto della crescita dei prezzi al consumo, e dunque del fenomeno inflattivo, in realtà è avvenuto dodici mesi fa, a novembre 2022 dopo l’ultima impennata dei prezzi nel precedente ottobre. Semplicemente siamo noi a non essercene accorti per un anno per una ragione puramente statistica, per il fatto di misurare la velocità di crescita dei prezzi su dodici mesi attraverso il tasso tendenziale. Dunque sin tanto che non sono passati dodici mesi dall’ultimo aumento consistente noi continuiamo a misurarlo senza renderci conto del fatto se la tendenza alla crescita è terminata oppure sta ancora perdurando. È come se misurandoci la febbre col termometro il medesimo continuasse a darci anche precedenti misurazioni senza distinguerle dall’ultima.
Come ho sostenuto in precedenti contributi, se vogliamo conoscere con precisione l’effettivo andamento dei prezzi dobbiamo osservare l’intera traiettoria da essi seguita attraverso il loro numero indice e non, soprattutto se non vogliamo farci trarre in inganno, attraverso i tassi di variazione. Questo compito è svolto dal Grafico 1.
Grafico 1 – Indice NIC dei prezzi al consumo dell’Italia (I semestre 2021=100)
Dal Grafico1 risulta evidente che:
– La crescita dell’inflazione si verifica nella seconda metà del 2021 e prosegue per buona parte del 2022 sino al picco del mese di ottobre. In questi quindici mesi l’inclinazione della linea che rappresenta l’indice è decisamente maggiore rispetto alla prima metà del 2021. Tra luglio 2021 e ottobre 2022 i prezzi aumentano in 15 mesi del 12,8%, corrispondente a un 10,1% su base annua, oltre il quadruplo della velocità di crescita del primo semestre 2021, che era contenuta in un 2,3% su base annua.
– Nei dodici mesi trascorsi dal picco di ottobre 2022 i prezzi sono tuttavia tornati a una stabilità più netta di quella che avevano nella prima metà del 2021, prima che ogni tendenza inflattiva si manifestasse. Infatti, in questo anno i prezzi italiani al consumo sono saliti solo dell’1,8%, come ci ha appena comunicato l’Istat, un dato che è due decimi più basso del valore obiettivo del 2% perseguito dalla Bce.
Ma allora, se l’inflazione non c’è più, anzi se non c’è più da un anno, come si giustifica un tasso Bce al 4,5%, corrispondente a un tasso reale per l’Italia del 2,7%, e che la stessa Bce, che si è sinora fatta ingannare dal guardare al tasso tendenziale, non intende ridurre nel breve periodo e anzi non esclude di aumentare ancora in futuro? Perché, infatti, se l’inflazione non c’è più da novembre 2022, la Bce non ha lasciato fermo il tasso al 2% al quale lo portò proprio in quel mese? Con l’inflazione al 2% e con la crescita economica dell’Europa quasi azzerata (e il Pil dell’Italia fermo allo stesso livello di un anno fa, come egualmente ci ha fatto sapere eri l’Istat) un tasso di sconto Bce più elevato del 2-2,5% risulta del tutto ingiustificato.
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