Nel mese di settembre, secondo le stime preliminari rese note dall’Istat, l’inflazione ha registrato un ulteriore ma molto piccolo gradino di riduzione, scendendo al 5,3% dal 5,4% del mese precedente. Infatti, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale (NIC), come al solito comprensivo dei tabacchi, ha registrato nel mese un aumento congiunturale contenuto nello 0,2%, che si confronta tuttavia con uno 0,4% dello stesso mese dello scorso anno, anch’esso relativamente contenuto, soprattutto in raffronto ai mesi in cui si erano manifestati gli effetti del caro energia. Dunque in questo mese i margini del possibile miglioramento erano già in partenza molto contenuti e sono stati tuttavia utilizzati solo parzialmente.



Quali comparti hanno contribuito a frenare l’inflazione? E quali hanno invece impedito una frenata più ampia? Come nelle precedenti occasioni i primi da esaminare sono quelli che hanno manifestato le turbolenze maggiori nella fase di accelerazione dei prezzi nello scorso anno, cioè gli energetici e gli alimentari. Nel mese che si sta chiudendo, i secondi hanno infatti ancora contribuito alla decelerazione mentre i primi sono tornati a manifestare alcune tensioni. Infatti:



– gli alimentari hanno proseguito nel trend di riduzione e infatti il loro tendenziale è diminuito per gli alimentari non lavorati dal 9,2% al 7,7%, mentre per gli alimentari lavorati dal 10,0% al 9,1%;

– gli energetici hanno invece peggiorato il loro tendenziale: i non regolamentati dal +5,7% al +7,6%, mentre i regolamentati, pur conservando il segno meno, dal -29,6% al -27,8%;

– nel loro insieme gli alimentari sono cresciuti dello 0,1% nel mese e dell’8,6% nell’anno (contro il 9,7% di agosto), mentre gli energetici, considerati anch’essi nel loro insieme, sono cresciuti dell’1,7% sia rispetto ad agosto che a settembre del 2022 (mentre ad agosto il loro tendenziale era negativo e pari al -0,2%).



Al netto degli energetici e degli alimentari freschi. l’inflazione di fondo è risultata ancora in riduzione, dal 4,8% di agosto all’attuale 4,6%, e altrettanto è avvenuto per l’inflazione al netto dei soli beni energetici, dal 5,0% al 4,8%. Anche il tasso tendenziale dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto ha continuato a ridursi, dal 6,9% al 6,6%.

L’inflazione acquisita per il 2023, quella che si manifesterebbe se l’indice dei prezzi al consumo restasse invariato nell’ultimo trimestre dell’anno, è pari al 5,7% per l’indice generale dei prezzi al consumo e al 5,2% per la sua componente di fondo.

Ma come sono andati i comparti diversi da alimentari ed energia, ovvero gli altri beni dell’industria manifatturiera e i servizi? Gli altri beni hanno manifestato riduzioni dei loro tassi tendenziali: i beni durevoli dal 4,6 al 4,0%; i beni non durevoli dal 5,2 al 4,8%; i beni semidurevoli dal 2,9 al 2,4%.

Si è invece accentuato il rialzo tendenziale dei servizi, cresciuto dal 3,6% al 4,1%, con al suo interno i servizi relativi all’abitazione che frenano dal 3,9% al 3,7%, mentre i servizi relativi ai trasporti balzano dall’1,2% al 3,8%. Non tragga, tuttavia, in inganno quest’ultimo rialzo dato che nella realtà i prezzi dei viaggi sono diminuiti rispetto ad agosto, ma molto meno di quanto si era verificato a settembre 2022, ragione per cui il tendenziale è risalito.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI