Mentre si attendono i dati sull’inflazione di marzo, due ricerche mettono in luce gli effetti che stanno avendo i rincari dei prezzi sulle famiglie italiane. Il 13% di esse, secondo l’Osservatorio “Sguardi Famigliari” di Nomisma, ritiene di avere un reddito insufficiente a far fronte alle spese irrinunciabili come quelle legate alla casa (affitto, mutuo, bollette, ecc.) e per i beni alimentari, mentre il 43% valuta la propria condizione reddituale appena sufficiente ad affrontare tali spese, con seri rischi nel caso di imprevisti.
Stando ai dati del Centro Studi LegaCoop rilanciati da Euromedia Research, si arriva, quindi, a pianificare attentamente la propria spesa alimentare, con una persona su tre disposta anche a girare in più negozi per trovare l’offerta più vantaggiosa. E l’inflazione rischia di avere importanti conseguenze sociali, visto che 6 persone su 10 considerano possibili forme di protesta e insofferenza verso i benestanti. Secondo Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, da queste ricerche «emerge senza tema di smentite quello che da tanto tempo sostengo».
A che cosa si riferisce?
Al fatto che parlando di redditi e scelte dei consumatori occorre essere consapevoli che esistono costi fissi e quasi fissi che fanno diventare una barzelletta la cosiddetta sovranità del consumatore. Stiamo parlando di costi legati alla casa, come l’affitto o il mutuo, che sono fissi, o ai generi alimentari che sono comprimibili solo a scapito della quantità o della qualità, con conseguenze non certo positive.
Tra l’altro si tratta di spese che sono tutte aumentate nell’ultimo anno, non c’è una sola voce che non sia salita…
Questo mette purtroppo in evidenza il fatto che la politica monetaria restrittiva non basta, perché i tassi sono saliti, ma questo ha consentito, al prezzo ben noto di una minor crescita economica, solo un rallentamento dell’inflazione, la cui discesa si preannuncia molto lenta. Sempre che non sopraggiunga un altro shock esogeno a far risalire l’inflazione, questa lenta discesa potrebbe se va bene far vedere i suoi effetti solo a fine anno. C’è poi un altro aspetto interessante che emerge dai dati LegaCoop-Euromedia.
Quale?
Si parla di tre principali categorie di persone in difficoltà: i minori, gli immigrati, i residenti del Sud. In quest’ultimo caso sembra di essere quasi di fronte a un paradosso, perché è noto che il costo della vita nel Mezzogiorno è più basso che al Settentrione. Evidentemente, quindi, c’è una maggior disuguaglianza al Sud rispetto al Nord: coloro che nel Meridione rientrano nella categoria del pubblico impiego non hanno le difficoltà degli altri.
La riporto alla ricerca di Nomisma, perché la difficoltà o la precarietà di oltre la metà delle famiglie italiane di fronte alle necessità primarie come la casa e il cibo si sta registrando in un momento in cui l’occupazione è ai massimi storici e aumentano i contratti stabili.
È una situazione che non nasce oggi. Dopo l’accordo di San Valentino, che ebbe il merito di fermare la spirale inflazionistica, e gli ulteriori sforzi per l’ingresso nell’euro, quello che sarebbe dovuto essere a mio avviso un sacrificio transitorio è diventato in buona sostanza permanente. Ormai lo riconoscono anche gli organismi ufficiali: i salari nel nostro Paese sono troppo bassi. Questo è dovuto sì a un problema di produttività, ma anche a investimenti che, ormai da più di 10 anni, sono stati tagliati, al punto che quelli netti talvolta sono scesi in territorio negativo durante questo lasso temporale.
Come si fa, a questo punto, ad alzare i salari?
Abbiamo visto recentemente come in questa strana crisi ci sia una parte dell’economia che continua a registrare profitti. Se questi vengono utilizzati per investimenti, che creano occupazione e redditi, ben venga, ma se invece finiscono solo in dividendi il risultato finale è un aumento delle disuguaglianze. Questo aspetto ha a che fare con la distribuzione della ricchezza. Il punto è che con il passare degli anni non si è risolto il problema delle rendite di posizione. Occorrerebbe trovare il modo di riequilibrare la situazione e in tal senso oggi c’è un tema importante sul tavolo: la riforma della struttura fiscale.
Si parla di ridurre le aliquote Irpef. Sarebbe una mossa positiva?
Personalmente sono dell’idea che gli scalini delle aliquote danneggino il Paese e il suo sviluppo. In alcuni casi sono irrilevanti, ma in molti, troppi casi, penso alle partite Iva in particolare, sono un ostacolo alla crescita, perché il Paese avrebbe bisogno di una struttura di imprese e autonomi che continuino a crescere.
La riforma fiscale richiede del tempo, si parla di 24 mesi. Di fronte alla situazione descritta bisognerebbe, invece, partire quanto prima…
Per partire con qualche segnale anzitutto bisognerebbe abbandonare alcune intenzioni manifestate in buona fede, che potrebbero però avere risultati disastrosi, come la revisione delle tax expenditures. Dopodiché bisognerebbe intervenire sulla tassazione riguardante il lavoro dipendente, in modo che la pressione fiscale diminuisca, ma non genericamente, bensì creando maggior equità. Nel nostro Paese rischia di sparire il criterio di progressività di cui invece abbiamo bisogno più che mai, perché occorre una tassazione ad hoc per aiutare i soggetti più fragili di cui abbiamo parlato poc’anzi.
Per una maggiore equità fiscale bisognerebbe anche recuperare il quoziente familiare, di cui non c’è traccia nel ddl delega?
Una qualche forma di quoziente familiare sarebbe molto utile e consentirebbe anche di contrastare la denatalità. Contro la sua introduzione vengono utilizzate principalmente due obiezioni, francamente risibili: c’è chi ritiene che favorisca i ricchi, ma basterebbe introdurre un tetto agli eventuali benefici; c’è chi sostiene che nuocerebbe all’occupazione femminile, dimenticando che in Francia, dove il quoziente familiare è realtà da tanti anni, il tasso di occupazione è più alto del nostro.
Come si può, invece, accelerare la discesa dell’inflazione? Qualcuno potrebbe dire che bisognerebbe aumentare ulteriormente i tassi di interesse…
Per carità! Studiando i dati sto notando l’esistenza di una situazione troppo anomala riguardante l’evasione fiscale sull’Iva. Occorre mettere in campo non una lotta all’evasione fiscale in generale, ma mirata sull’Iva.
Questo come può far scendere l’inflazione?
Il gettito recuperato andrebbe utilizzato per alleggerire la pressione fiscale su chi lavora. Si tratta, in buona sostanza, di aumentare il potere d’acquisto tramite una riduzione delle tasse.
(Lorenzo Torrisi)
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