Ieri l’Istat ha pubblicato i dati sulla variazione dei prezzi al consumo in Italia a luglio. L’inflazione è scesa al 6% dal 6,4% di giugno; è il dato più basso da aprile 2022 e l’ottavo mese consecutivo con una riduzione dopo il massimo raggiunto a novembre 2022, quando l’inflazione era arrivata all’11,8%. Il dato sintetico nasconde andamenti molto diversi a seconda dei settori: al calo dei trasporti (-1%) e alla sostanziale parità delle comunicazioni, dei trasporti e dei servizi sanitari si oppongono gli incrementi degli alimentari (+10,9%), quello dei “servizi ricettivi e di ristorazione” (+8,0%) e abitazione e utenze (+9,1%).



Ci sono elementi per due visioni opposte. Si può scegliere di sottolineare la riduzione rispetto a giugno e, allargando l’orizzonte, un ribasso che prosegue per l’ottavo mese consecutivo. In questo quadro l’inflazione scende e si avvicina a una normalizzazione che, per inciso, sconsiglia ulteriori rialzi dei tassi. L'”altra” visione mette l’accento su un incremento dei prezzi ancora molto superiore all’obiettivo della Bce del 2% nonostante un’attività economica anemica, sicuramente rispetto al 2022, e nove rialzi dei tassi consecutivi della Banca centrale europea che hanno portato i tassi ai massimi da quindici anni. L’inflazione alimentare, in questo secondo quadro, è il dato che spicca su tutti; rimane in doppia cifra e apre un solco tra l’inflazione percepita dai percettori di reddito medio-alti e quella subita dai redditi medi e bassi. L’inflazione acquisita per il 2023, come evidenziato dall’Istat ieri, rimane al 5,7% per l’indice generale e del 5,1% per la componente di fondo.



Le due visioni pongono accenti diversi anche sullo scenario economico. La possibilità di una crisi o di una recessione farebbe aumentare la velocità con cui i prezzi diminuiscono e prenderebbe in contropiede le stime “ufficiali” della Bce; questa, a sua volta, sarebbe già in ritardo rispetto all’evoluzione del ciclo economico avendo alzato troppo e troppo in fretta. Dall’altra parte della barricata si mette l’accento sulle spinte inflattive ancora in essere: gli Stati Uniti hanno una politica fiscale ancora estremamente espansiva, due decenni di tassi bassi hanno schermato molte famiglie e imprese da rialzi dei tassi, infine la transizione green e le tensioni geopolitiche, pensiamo all’accordo sul grano o al Niger, rischiano di alimentare di nuovo la salita dei prezzi.



L’attuale andamento dei prezzi sarebbe stato considerato lunare fino a tutto il 2021 e per i tre decenni precedenti; l’andamento dei prezzi degli alimentari avrebbe occupato un posto d’onore per giorni sui principali media. Sono numeri che interrogano la politica anche se da domani tutto dovesse rientrare nella norma dato che non si sono visti aumenti salariali equivalenti. Se dovessero continuare e diventare la norma dei prossimi dodici o diciotto mesi si porrebbe la questione della sostenibilità del modello di sviluppo italiano ed europeo. Questa è la dimensione della sfida.

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