Secondo le stime preliminari dell’Istat, i prezzi al consumo sarebbero rimasti completamente fermi nel mese di giugno rispetto al mese precedente. È la prima volta che accade dopo l’uscita dell’economia italiana dalla pandemia e l’emergere della crisi del gas a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina. Infatti, l’ultima volta che si ebbe una variazione mensile nulla fu a maggio 2021, ancora in piena epoca Covid. Poiché dunque l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), che a differenza dell’indice europeo armonizzato include anche i tabacchi, ha registrato una variazione nulla su base mensile, mentre a giugno dello scorso anno era invece cresciuto dell’1,2%, ecco che il tasso di crescita tendenziale dei prezzi ha beneficiato nel mese di una riduzione di pari ammontare, scendendo al 6,4% su base annua dal 7,6% del mese precedente.
Il nuovo valore è pari solo a poco più della metà rispetto al picco del quasi 12% che si era registrato all’inizio dello scorso autunno, e va dunque accolto in modo molto positivo, tuttavia resta ancora molto elevato rispetto agli standard ai quali siamo stati abituati negli ultimi decenni, in particolare dall’introduzione dell’euro. Ma poiché la stabilità dell’indice dei prezzi non implica che tutti i prezzi siano rimasti fermi, ma solo che quelli che sono comunque cresciuti sono stati compensati da quelli che sono diminuiti, conviene guardare ai casi di maggior rilievo sull’uno e sull’altro versante.
Il fronte dei comparti in diminuzione è guidato dai prodotti energetici a prezzo libero, diminuiti del 4,5% rispetto al mese precedente. Seguono gli energetici regolamentati con uno -0.9%. Sul versante opposto hanno guidato la crescita gli alimentari non lavorati, con un più 1,0%, stesso valore dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona, probabilmente trainati dalla crescita della domanda turistica, seguiti ambedue dagli alimentari lavorati con un più 0,5%. Quasi fermi i restanti beni (+0,1%) e la stessa cosa per i restanti servizi, ma con l’eccezione dei trasporti (+0,3%).
A livello di tasso di inflazione tendenziale la decelerazione si deve ancora una volta principalmente al rallentamento su base annua dei prezzi dei beni energetici non regolamentati, che scendono dal 20,3% all’8,4%, e in misura minore alla riduzione degli alimentari lavorati (dal 13,2% all’11,9%), dei servizi relativi ai trasporti (dal 5,6% al 3,8%), e a quella degli altri beni (dal 5,0% al 4,8%) e dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (dal 6,7% al 6,5%). In rialzo, invece, il tendenziale relativo agli alimentari non lavorati, che passa dall’8,8% al 9,6%.
L'”inflazione di fondo”, che esclude gli energetici e gli alimentari freschi, ha anch’essa rallentato ulteriormente nel mese, scendendo dal 6,0% al 5,6%, tuttavia meno dell’indice generale dei prezzi, e altrettanto ha fatto quella al netto dei soli beni energetici (dal 6,2% di maggio al 5,8% di giugno). Anche il tasso relativo ai prodotti ad alta frequenza d’acquisto è diminuito, dal 7,1% al 5,8%. Infine, l’inflazione acquisita per il 2023, dunque il valore medio al quale si attesterebbe l’inflazione dell’anno se l’indice restasse fermo per tutta la sua seconda metà al livello attuale, è rimasta invariata al 5,6% per l’indice generale, mentre è salita al 4,9% per la componente di fondo
Il giudizio di sintesi dei numeri precedenti è quello di una netta decelerazione dell’inflazione nel mese di giugno, ottenuta grazie a una ritrovata stabilità del livello dei prezzi al consumo sul piano congiunturale. Essa appare destinata a proseguire anche nei prossimi mesi, con un solo cono d’ombra rappresentato dal settore agroalimentare, unica fonte possibile di qualche residua preoccupazione.
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