Poiché l’Istat programma in anticipo il calendario della pubblicazione dei dati sulla congiuntura economica non possiamo sostenere che abbia scelto deliberatamente di comunicarci il dato positivo del Pil del primo trimestre, che non si è ridotto come sembrava dalle prime stime dello 0,2% sul trimestre precedente bensì è cresciuto dello 0,1%, assieme al dato sull’inflazione al consumo, che invece ha nuovamente accelerato nel mese di maggio dopo la piccola frenata di aprile.



Del Pil che non è sceso, notizia ottima a maggior ragione in quanto inattesa, ce ne occupiamo in dettaglio a breve privilegiando invece l’analisi che più interessa alla famiglie e che riguarda il rincaro del costo della vita. A maggio l’inflazione, che in aprile era scesa di mezzo punto (dal 6,5% al 6,0% sui 12 mesi precedenti), ha ripreso ad accelerare salendo al 6,9%, un livello che non si vedeva dal lontano marzo 1986, nel pieno degli anni ’80 in cui era ancora operante, seppur in fase di depotenziamento, la scala mobile la quale alimentava la nota spirale prezzi-salari-prezzi. In sostanza gli elevati aumenti dei prezzi dei beni energetici, che sono iniziati nella seconda metà dello scorso anno e si sono accentuati negli ultimi mesi in parallelo con la crisi geopolitica russo-ucraina, hanno proseguito il loro effetto di traino propagandosi sotto forma di costi di produzione crescenti sempre più sugli altri comparti merceologici. 



I beni energetici, che qui vediamo solo come prezzi per i consumatori finali, sono infatti anche un essenziale bene intermedio nei processi produttivi industriali, nella trasformazione dei beni agroalimentari, nei trasporti e nell’intermediazione commerciale. Ma ritorniamo al dato mensile dell’inflazione al consumo:

Secondo le stime preliminari dell’Istat, in maggio l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale (NIC), che include i tabacchi, ha registrato un aumento dello 0,9% sul mese di aprile (mentre in aprile l’aumento fu solo dello 0,2% su marzo).



Poiché nel maggio 2021 la variazione mensile dell’indice fu nulla, questo incremento porta il dato tendenziale al 6,9% dal 6,0% del mese precedente (rispetto dunque allo stesso mese del 2021).

L’inflazione di fondo, che è calcolata al netto delle componenti più ballerine dei beni energetici e degli alimentari freschi, accelera dal +2,4% al +3,3% e quella al netto dei soli beni energetici dal +2,9% al +3,7%.

– L’inflazione acquisita per il 2022, dunque il dato medio annuo che si avrebbe se l’indice dei prezzi restasse fermo sul livello di maggio per tutti i restanti sette mesi dell’anno, è già pari al 5,7% per l’indice generale dei prezzi (e al +2,5% per la componente di fondo).

Anche l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA), che si utilizza per i confronti nell’area Euro essendo costruito con metodologia uniforme per tutti i Paesi, ha registrato un aumento su base mensile dello 0,9%, ma il dato annuo è al +7,3% su base annua, dunque un valore più elevato dell’indice italiano NIC.

Contemporaneamente all’Istat anche l’Eurostat ha reso nota la stima preliminare dell’inflazione nell’area Euro, basata sui Paesi più veloci nel calcolarla. Essa è peggiore rispetto al dato italiano, che è anzi uno dei Paesi col tasso di crescita minore, mostrando come, a differenza degli anni ’80 e ’90, nei quali l’inflazione era un problema principalmente italiano, essa sia ora un problema comune, originato dalla medesima causa del boom internazionale dei prezzi energetici.

Nell’area dell’Euro, infatti, come ha comunicato l’Eurostat, il tasso tendenziale in maggio è stimato all’8,1%, in crescita dal 7,5% di aprile. In linea col dato medio europeo si collocano l’Austria,  il Portogallo e l’Irlanda. Sopra la media europea la Spagna con l’8,5%, la Germania con l’8,7%  e soprattutto il Belgio col 9,9%, l’Olanda col 10,2% e la Grecia col 10,7%, dunque un paio di Paesi con inflazione a due cifre. Sotto la media dell’area Euro invece l’Italia col già ricordato 7,3%, seguita solo dalla Finlandia col 7,1% e la Francia, che è il Paese meno dipendente dall’energia importata, ancora al 5,8%.

Grafico 1 – Prezzi al consumo in Europa (Tassi di variaz. % sullo stesso mese dell’anno precedente)

Ritornando all’inflazione italiana possiamo vedere come siano  ancora una volta i prezzi dei beni energetici ad aver trainato il dato complessivo. Il loro tendenziale è stato in maggio del +42,2%, in crescita dal +39,5% di aprile, derivante da un tendenziale del +64% per gli energetici regolamentati (identico al mese precedente, dato che il loro prezzo viene rivisto ogni trimestre) e del +32,4 per gli energetici liberi (in rialzo di due punti e mezzo dal mese prima)

Al di fuori dell’energia tutti gli altri comparti conservano tassi annui di crescita a una sola cifra, ma tutti con valori in aumento, segno che l’inflazione energetica sta diffondendo i suoi effetti:

– Gli alimentari vedono il loro tendenziale in crescita di un punto, dal +6,1 al +7,1%, con gli alimentari lavorati al +6,8% (dal +5,0 precedente)  e i non lavorati al +7,9%.

– Gli altri beni, dunque non alimentari né energetici, sono meno dinamici ma anch’essi si caratterizzano per tassi in crescita:  quelli durevoli salgono dal +2,2% al +2,7%, i non durevoli dal +1,9% al +2,3%, infine i semidurevoli dal +1,5% al +1,8%; nel loro insieme gli altri beni salgono al +2,3% dal +1,9% precedente.

– Infine i servizi salgono del +3,1% dopo il +2,%1 di aprile.

Questa tendenza alla diffusione dell’inflazione energetica sugli altri comparti tramite l’energia come fattore produttivo è destinata inevitabilmente a proseguire anche nei prossimi mesi.

Grafico 2 – Prezzi al consumo in Italia (Tassi di variaz. % sullo stesso mese dell’anno precedente)

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