L’inflazione che sta pesantemente colpendo i consumatori italiani è stata oggetto di una revisione condotta dal Ministero dell’economia e della finanza (ovvero il Mef), intenzionato a capire quali siano le reali ragioni per cui molti prodotti sono aumentati a dismisura, ben più che in altri paesi europei. Le conclusioni, che hanno un vago retrogusto di accusa, sono state pubblicate in uno specifico e dettagliato focus contenuto nella Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza.
Partendo proprio dalle conclusioni, il Mef ritiene che la maggior parte della spinta all’inflazione interna (ovvero quella che colpisce specificamente gli italiani) sia dovuta al fenomeno della cosiddetta corsa ai profitti. In altre parole, le imprese per cercare di tutelarsi davanti alla complicata situazione economica europea e mondiale, hanno aumentato anticipatamente i prezzi, alimentando la stessa spinta inflazionistica dalla quale cercavano di correre ai ripari, a discapito dal consumatore finale. Corsa ai profitti che, sempre secondo il Mef, ora si è leggermente placata, riducendo parzialmente l’inflazione ma in un contesto in cui pesano maggiormente i rialzi dei tassi d’interesse da parte della BCE, con l’effetto di penalizzare complessivamente la domanda di beni e servizi.
L’accusa del Mef: “Inflazione aumentata a causa della corsa ai profitti”
Il focus del Mef sull’inflazione, però, parte dal principio del problema, ovvero dall’aumento senza precedenti dei prezzi di energia elettrica e gas, con picco registrato nell’estate del 2022, prima di una progressiva diminuzione, seppur oggi i costi sono ancora superiori alla media tra il 2015 e il 2019. Similmente, l’indice dei prezzi dei beni di consumo ha raggiunto il picco lo scorso ottobre, tornando a scendere solamente ad agosto, ma con una spinta di poco inferiore al 10% mensile.
Per comprendere meglio l’inflazione, dunque, il Mef ha preso in esame il deflattore del valore aggiunto, che misura l’andamento dei prezzi in produzione e quello dei prezzi al consumo. Da questa analisi è emerso come dopo il 2021, in cui i primi crescevano e i secondi si contraevano, nel 2022 i profitti delle imprese hanno rappresentato complessivamente il 60% dell’aumento del deflattore. Nella nota, dunque, si sottolinea, sintetizzando, che è stata “la tendenza dei margini di profitto, in quel periodo, a rafforzare le pressioni interne sui prezzi, contribuendo attivamente all’inflazione. Le imprese, a fronte delle perdite subite nel 2021, hanno rivisto le proprie aspettative, modificando le strategie di prezzo per tutelarsi da possibili ulteriori aumenti dei prezzi degli input”.