Un fil rouge comune collega gli stati d’animo dei cittadini del villaggio globale: la fiducia, di questi tempi, è merce rara un po’ per tutti. E come potrebbe essere diversamente? Non è ancora passata la paura del Covid-19 che flagella 400 milioni di cinesi cui è stata imposta una quarantena spietata. La guerra in Ucraina presenta, soprattutto per l’Europa, un costo elevato: almeno 300 miliardi per compensare i danni inferti a città e popolazioni. Ma il conto rischia di essere assai più salato: che avverrà se i cereali raccolti nelle campagne resteranno ancora a marcire nei porti senza raggiungere i mercati di sbocco?
Non è difficile prevedere che le proteste in Iran per la carenza di cibo presto si ripeteranno in Africa. Magari favorendo nuove ondate migratorie verso Nord. La strada del 2022 è zeppa di pericoli e di trappole varie che complicano la navigazione in un mare turbolento agitato dalla corrente dell’inflazione, la prima emergenza che le banche centrali intendono affrontare.
È proprio da qui, dalla lotta contro l’inflazione cresciuta anche grazie all’incoscienza delle autorità monetarie, specie quelle anglosassoni (il Regno Unito post Brexit è nelle condizioni peggiori), che occorre ripartire per ricostruire un quadro economico favorevole agli investimenti, in grado di sradicare alle radici il virus che l’inflazione sta inoculando negli operatori economici, sempre meno propensi a rischiare in un clima avverso. Ma sradicare l’inflazione, balzata all’8 % in Usa, al 9% e oltre in Spagna e Regno Unito, ormai a doppia cifra nel Paesi dell’Est, Polonia in testa, alle prese con il drammatico problema dei profughi, si può fare in un modo solo: stringere i cordoni della borsa.
Le Banche centrali non possono risolvere il problema dei porti ingorgati o delle fabbriche cinesi chiuse per il Covid. Non possono far saltare fuori nuovo petrolio o nuovo gas che compensino quello che stiamo perdendo per effetto degli investimenti in energia fossile cancellati negli ultimi anni o a causa delle sanzioni alla Russia. Tocca ai Governi porre rimedio nel tempo a questi problemi. E speriamo che ci riescano, a partire dal nodo della dipendenza energetica nei confronti della Russia.
Ma ai pompieri delle Banche centrali tocca il compito di spegnere l’incendio prima che sia troppo tardi. Senza far troppo complimenti. Come stanno scoprendo i clienti delle società di risparmio gestito che in questi giorni cominciano a ricevere rendiconti amari al termine di mesi terribili, segnati dal calo delle Borse ma anche delle obbligazioni, reduci dal peggior risultato di sempre. Quasi all’improvviso si è ribaltato il quadro generale. Negli ultimi vent’anni i banchieri hanno protetto i mercato azionari con il sostegno di tassi bassi e iniezione di liquidità ogni volta che fosse necessario ridare la carica alla congiuntura per stimolare la domanda. Oggi, però, il problema è l’opposto: sgonfiare almeno una parte della ricchezza che si è creata, in particolare quella formatasi negli ultimi due anni in seguito agli stimoli monetari e fiscali messi in campo per combattere gli effetti economici della pandemia.
Il rischio è quello di porre le premesse della recessione, cosa che sia la Fed che la Bce (forse mentendo) sperano di poter evitare. Ma è quasi inevitabile che la stretta colpisca azioni e obbligazioni. E pure la casa, specie nei mercati che hanno registrato i rialzi più alti negli ultimi anni.
Insomma, non c’è da stare allegri. La fase grigia è destinata a durare un po’. Sarà tanto più breve quanto più drastica sarà la cura. Se per motivi elettorali si interromperà il processo troppo presto, l’inflazione resterà più a lungo. L’aspetto più consolante è che il fenomeno è controllato e voluto dalle Banche centrali e, come sempre accade, permetterà squarci improvvisi di bel tempo, di cui sarà bene diffidare almeno all’inizio. Per consolarci, pensiamo che c’è del metodo dietro questa apparente follia che trascina giù le borse e i risparmi.
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