La scorsa settimana si è chiusa con una buona notizia sul fronte dell’inflazione, che, come ha comunicato l’Istat in base alla prima stima, è scesa a dicembre al +0,6% tendenziale rispetto al +0,7% di novembre. Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, evidenzia, però, che «non deve passare inosservato il dato sui prezzi dei beni alimentari, che restano inchiodati al +5,9%».
Rappresenta un segnale non positivo?
È un dato che desta qualche preoccupazione, soprattutto se teniamo conto che per i prodotti ad alta frequenza d’acquisto a dicembre c’è stato un rallentamento della dinamica dei prezzi soltanto dello 0,2%, al +4,4% dal +4,6% di novembre, mentre per il cosiddetto carrello della spesa la diminuzione è stata dello 0,1%, al +5,3% dal +5,4% del mese precedente. Dunque, per i prodotti che vengono acquistati quasi quotidianamente non ci sono importanti decelerazioni e questo non aiuta a creare aspettative di ribasso dei prezzi nei consumatori. Nel complesso, quindi, il dato sull’inflazione di dicembre rappresenta una notizia “mezza positiva”.
Grazie soprattutto all’andamento dei prezzi dei beni energetici…
È così. Sarà importante monitorarne l’andamento. Per il momento, nonostante le tensioni geopolitiche, il prezzo del petrolio rimane a livelli non preoccupanti.
Venerdì l’Istat ha anche diffuso i dati sui redditi delle famiglie nel terzo trimestre del 2023 da cui emerge un aumento del potere d’acquisto, dei consumi e della propensione al risparmio. Cosa ne pensa?
Questo è un segnale ancora più positivo rispetto al dato sull’inflazione. C’è da sperare che si possano registrare nuovi incrementi, specie per il potere d’acquisto che per più di un anno è stato eroso in maniera significativa.
Ancora venerdì, è stato reso noto anche il dato sull’inflazione di dicembre nell’Eurozona: l’indice generale è salito a livello tendenziale al +2,9% dal +2,4% di novembre, mentre la componente “core” è scesa al +3,4% dal precedente +3,6%. Cosa farà a questo punto la Bce?
Sono dati ancora lontani dall’agognato target del 2%. Anche negli Stati Uniti è così, ma una differenza importante rispetto alla situazione europea è che Oltreoceano il Pil continua a crescere. Credo, quindi, che il dato sull’andamento dell’inflazione debba essere visto insieme a quello sulla crescita. Da questo punto di vista, sarà importante capire se nel quarto trimestre dell’anno è proseguito il rallentamento della dinamica congiunturale europea.
I dati sul Pil del quarto trimestre arriveranno a fine mese, pochi giorni dopo la riunione del Consiglio direttivo della Bce. È facile, quindi, immaginare che in quell’occasione lascerà i tassi fermi…
Considerando che la postura delle altre Banche centrali non è così “aggressiva” come pochi mesi fa, tenderei in effetti a immaginare che il livello dei tassi rimanga quanto meno invariato.
Quando, secondo lei, la Bce potrà procedere a un taglio dei tassi? Già nella prima parte dell’anno?
Se vuole essere un segnale di un cambio di rotta, sì, il taglio deve avvenire nella prima parte dell’anno. Occorre, però, non dimenticare che il tasso di interesse è solo uno strumento con cui gli impulsi della politica monetaria arrivano all’economia.
Cosa intende dire?
Che il livello dei tassi è senza dubbio importante, ma lo sono anche l’andamento del credito, che non deve mai mancare, e, per un Paese come il nostro, il collocamento dei titoli del debito pubblico, visto l’ammontare delle emissioni in programma quest’anno. Dunque, è bene che anche questi temi, insieme a quello dei tassi, non scivolino via nel dibattito politico ed economico di questi mesi.
(Lorenzo Torrisi)
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