È necessario. Il timore che la recente storia possa essere dimenticata è molto concreto e, quindi, diventa obbligatoriamente necessario ricordarlo. Anche se questo rimembrare comporta dolore. Il celebre Milton Friedman e il suo «non esistono pasti gratis» è più che attuale soprattutto perché l’ancoraggio al quale faremo riferimento è, paradossalmente, in continuo ribasso: parliamo dell’inflazione. Ieri Eurostat ha riconfermato questa nuova tendenza acquisita che sta caratterizzando le periodiche rilevazioni mensili legate all’indice dei prezzi al consumo del Vecchio continente.
Il dato di agosto, infatti, vede un ulteriore ridimensionarsi del carovita abbassando l’asticella a valori pressoché dimezzati se comparati al picco del novembre 2022. Rispetto all’ampia doppia di cifra di quel periodo (11,5% per il cosiddetto perimetro denominato “Ue”), oggi si registra, invece, un valore su base tendenziale a quota 5,9% o, in forma più circoscritta, a un ammontare più modesto del 5,2% per l’Eurozona. In tale positività, quest’ultimo, ha fatto meglio di sé ovvero: il dato di ieri rappresenta una revisione al ribasso (seppur lieve) della precedente stima pari al 5,3%.
Ovviamente i valori rimangono ancora elevati, ma il loro stesso miglioramento è pur sempre oggettivo. Quanto, invece, alla componente più robusta o cosiddetta core il suo ammontare trova un proprio medesimo allineamento al sopracitato 5,3% che, rispettando le attese, conferma la sua resilienza alle azioni monstre di politica monetaria finora messa in campo da parte della Bce.
Finora, l’intera dote inflattiva appare incardinata in un trend discendente, ma, parer nostro, in molti osservatori sottovalutano un potenziale rovesciamento di fronte. Potenzialmente imminente. Il dilemma sull’inflazione continua a tenere banco soprattutto perché non riconducibile a un accademico fenomeno concernente la più classica “spirale prezzi-salari”. Probabilmente, oggi, (tutti) vorremmo combattere contro quest’ultima dinamica, ma, purtroppo, le attuali resistenze dei prezzi al consumo sono motivate e alimentate da altri fattori. Con una Bce che, come da suo comunicato stampa, ha manifestato apertamente il suo futuro stato di soggetto inerme (rif. «i tassi di interesse di riferimento della Bce abbiano raggiunto livelli che, mantenuti per un periodo sufficientemente lungo»), passivo, e in attesa degli eventi, siamo (tutti) in balia del nostro stesso rivale. L’inflazione. Guardando al breve termine un ulteriore rialzo dei tassi di interesse non s’ha da fare (né domani, né mai vorremmo aggiungere) e, quindi, il pallino è completamento nelle mani alla sopracitata inflazione. Un avversario ostico, verosimilmente al pari di un virus che, mutando, adegua il suo vivere.
Oggi, però, questo parassita (molto) costoso sembra rallentare i suoi cambiamenti e tale “resilienza” non si addice a una delle principali componenti che alimenta la fame del nocivo combattente: l’andamento del prezzo del petrolio. Osservando il trascorre di questi ultimi mesi, i prezzi del barile (rif. Wti) sono passati dai circa 67,5 dollari di giugno scorso agli attuali 90. Durante questo significativo fermento, l’inflazione non ha accusato minimamente il colpo. A tal proposito, alcuni potrebbero sostenere che tale decorrelazione sia motivo di messa a terra delle azioni finora attuate da Bce e noi stessi potremmo anche condividere tale pensiero. Il nostro timore è per il dopo. Quel dopo che vedrà un plausibile aumento dei prezzi (prevalentemente energetici) derivante dalla stagionalità ormai prossima e, lo ricordiamo, un semplice status di osservatore in capo all’intero Consiglio direttivo della Bce.
Chi scrive lo ammette senza alcuna remora: il recente comunicato stampa, nelle sue battute iniziali, ha immediatamente posto un dubbio sulla scelta adottata. Continua a risuonare quella constatazione su «L’inflazione continua a diminuire, ma ci si attende tuttora che rimanga troppo elevata per un periodo di tempo troppo prolungato». Quel «troppo» (elevata) seguito immediatamente da un ulteriore «troppo» (prolungato) sembra nascondere (e tacere) un timore di obbligato immobilismo. Lo abbiamo citato all’inizio: «non esistono pasti gratis». Non vorremo, pertanto, che nei prossimi mesi si presentasse un eventuale conto da pagare «troppo» salato. In tal caso, la Bce in veste di oste, svolgerà essenzialmente il suo compito e siamo certi che sarà tutto perfetto. La colpa, invece, sarà attribuibile ad altro (magari il petrolio), mentre, alla cassa, ci saranno sempre i soliti. A pagare. Troppo.
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