Eurostat ha comunicato ieri che l’inflazione nell’Eurozona a febbraio è cresciuta in termini tendenziali del 2,6%, mentre la componente core del 3,1%. In entrambi i casi si tratta di una discesa rispetto al mese di gennaio (+2,8% per l’indice generale e +3,3% per l’inflazione core). Come sottolinea Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, «se guardiamo anche ai dati precedenti, prosegue un trend discendente dell’inflazione che si era interrotto solamente a dicembre, ma che è ripreso a inizio anno».
Resta da capire se per la Bce sarà una base sufficiente per tagliare i tassi già ad aprile…
Credo che sia alla Fed che alla Bce vi sia una sorta di senso di colpa per non aver alzato i tassi in tempo quando l’inflazione aveva cominciato a correre. Ora, pertanto, si teme di diminuirli prima del dovuto. C’è, però, una differenza sostanziale tra le due sponde dell’Atlantico.
Quale?
Negli Stati Uniti la dinamica è molto favorevole sul piano della domanda e dell’attività economica in generale. La Federal Reserve, pertanto, in un’ottica di forward looking può effettivamente temere che l’andamento dell’economia possa spingere in alto l’inflazione. In Europa, invece, la dinamica dell’economia reale non è così lusinghiera. Continuo, tuttavia, a temere che la Bce non taglierà i tassi finché non lo farà anche la Fed.
Cosa potrà giustificare l’attesa della Bce se non c’è, come negli Usa, il rischio di un rialzo dell’inflazione?
Potrebbe essere che non voglia ridurre i tassi finché l’inflazione non sarà arrivata al target di medio periodo pari al 2%. Tuttavia, stabilità monetaria non significa avere un’inflazione esattamente pari al 2%, anche perché più volte in passato è stato ribadito dalla Bce che l’obiettivo è quello di un’inflazione vicino al 2%. Quindi, se arrivasse al 2,1-2,2%, il target sarebbe di fatto raggiunto e non si infrangerebbe nessuna linea guida nel procedere a una riduzione dei tassi di interesse.
Quale potrebbe essere il prezzo da pagare per attendere di arrivare a quel livello?
Anche in questo caso vi è una differenza significativa. Il danno dal punto di vista delle ricadute economiche che può provocare l’attesa per qualche punto decimale è maggiore in Europa di quanto lo possa essere negli Stati Uniti. Sarebbe davvero dannoso se il taglio dei tassi da parte della Bce venisse rinviato per un questione di decimali, perché in base alle prese di posizione della stessa Eurotower in passato, con un’inflazione al 2,2% non ci sarebbero problemi a procedere.
Claudia Buch, Presidente del Consiglio di vigilanza della Bce, in un’intervista al Financial Times, ha detto che “stiamo già assistendo ad un aumento delle insolvenze, dei prestiti sottoperformanti e degli arretrati”. Per questo, “le banche devono essere resilienti e sufficientemente capitalizzate per essere in grado di assorbire potenziali perdite”. Cosa ne pensa?
Mi sembra di capire che l’idea di fondo sia che le banche, di fronte a queste difficoltà, devono cavarsela da sole. Se da un lato questo è giusto, dall’altro non si farà altro che rallentare l’erogazione di nuovo credito, in quanto le banche dovranno aumentare le loro riserve. Questo, invece, sarebbe il momento buono per avere un po’ più di respiro nella politica monetaria e creditizia, anche a favore di quelle situazioni che, a livello bancario, possono averne bisogno.
Meglio, dunque, se la Bce taglia i tassi ad aprile?
Credo che sia il momento di mettere in campo una politica monetaria più coerente con le posizioni ufficiali espresse da anni e con la situazione economica di relativa sofferenza e diminuzione dell’attività produttiva. Aspettare la Fed potrebbe diventare molto rischioso.
(Lorenzo Torrisi)
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