Il destino dell’Italia, degli italiani, e ancor più delle famiglie italiane, è segnato. È bastata una manciata di giorni (poco meno di una settimana) a Istat e Banca d’Italia per sviluppare la fotografia di quello che è accaduto e quasi certamente accadrà al Bel Paese. È una realtà pesante, soffocante e priva di una possibile svolta (almeno nel breve termine). Purtroppo, il rischio di assistere a una “Povera patria”, è concreto. Nulla a che vedere con la celebre raccolta musicale di Franco Battiato bensì si tratta di una “Povera patria” quale cinico e immediato futuro per l’Italia.
Istat, come noto, ha diffuso le proprie stime preliminari. Nel consueto “Commento” si legge: «L’inflazione a gennaio registra una forte accelerazione, raggiungendo un livello (+4,8%) che non si registrava da aprile 1996, quando il NIC (indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività) registrò la medesima variazione tendenziale. I Beni energetici regolamentati trainano questa fiammata con una crescita su base annua mai registrata, ma tensioni inflazionistiche crescenti si manifestano anche in altri comparti merceologici». In quanto rilevato, l’unica nota positiva è quella legata alla cosiddetta “componente di fondo” che «al netto di energetici e alimentari freschi conferma il dato di dicembre grazie anche al rallentamento dei prezzi dei Servizi relativi ai trasporti i cui andamenti tendenziali sono ancora condizionati dalle limitazioni alla mobilità dovute alla pandemia».
Nella sezione “l’approfondimento” di Istat, emergono chiaramente le fonti (cause) di questo storico incremento del carovita: «L’accelerazione dei prezzi dei beni è imputabile ai prezzi dei Beni energetici (che passano da +29,1% a +38,6%; +10,7% il congiunturale), a causa di quelli della componente regolamentata (da +41,9% a +93,5%; +42,9% rispetto a dicembre): accelerano in modo marcato i prezzi dell’Energia elettrica mercato tutelato (la cui crescita passa da +43,8% a +103,4%; +47,8% la variazione congiunturale) e quelli del Gas di città e gas naturale mercato tutelato (da +40,8% a +84,4%; +37,5% su base mensile). Da segnalare l’accelerazione, anche se più contenuta, dei prezzi della componente non regolamentata (da +22,0% a +23,1%; +3,2% il congiunturale) a causa di quelli dell’Energia elettrica mercato libero (da +26,4% a +32,0%; +5,1% rispetto a dicembre) e del Gas di città e gas naturale mercato libero (nuovo prodotto del paniere 2022, che registra una crescita su base mensile del +10,7%); rallentano invece i prezzi del Gasolio per i mezzi di trasporto (da +23,0% a +20,2%; +0,9% il congiunturale), quelli della Benzina (da +21,3% a +18,9%; +0,7% sul mese) e quelli degli Altri carburanti (da +45,3% a +41,1%; +0,3% da dicembre)». Nell’insieme, si tratta di significative variazioni percentuali che, per la loro entità, potrebbero essere ricondotte all’andamento di titoli azionari in periodi di frenesia borsistica, invece, no. Si parla chiaramente di rialzo nei prezzi, quelli stessi prezzi che, quotidianamente, dovremo pagare: tutto e tutti noi.
Ma il tema è complesso e molto più ampio. Infatti, sempre Istat, attraverso la sua “Nota informativa: gli indici dei prezzi al consumo”, ha rivisto – come consueto – l’elenco dei prodotti che compongono il paniere di riferimento per la rilevazione degli stessi prezzi al consumo di cui sopra. Dalla consultazione del documento si apprende di una «importante novità introdotta nel 2022» ovvero: «l’avvio della rilevazione del Gas di città e gas naturale mercato libero, che si affianca alla rilevazione già effettuata delle tariffe del gas praticate nel mercato tutelato». Tale “importante novità” equivarrà, di fatto, a un potenziale incremento (ulteriore) del già elevato costo energetico.
Per chi non fosse al corrente, il gas naturale in veste di strumento finanziario (rif. derivati internazionali) nel corso dell’ultimo anno ha vissuto un rialzo storico raddoppiando i propri valori fino a quasi triplicare gli stessi. Anche durante il primo mese del 2022 i prezzi stanno subendo un’eccessiva volatilità e, in ottica futura, non può essere esclusa una continuazione. Pertanto, se così accadrà, i prezzi al consumo riconducibili a questa componente (nella sua marginale contribuzione) rifletteranno l’ennesima crescita a danno del consumatore.
A corollario di questo vero e proprio salasso, ancora Istat, ha rilevato un altro dato che non conferma il buono stato di salute delle tasche degli italiani. Nel report concernente i “Contratti collettivi e retribuzioni contrattuali) del 2021 si riscontra come l’indice delle retribuzioni orario è cresciuto dello 0,6% rispetto all’anno precedente.
Nella sintesi riportata (rif. “Il commento”) viene sottolineato come «nella media del 2021 la marcata riduzione della quota di dipendenti in attesa di rinnovo non ha comportato una rilevante crescita delle retribuzioni contrattuali orarie, che si è fermata al +0,6%, in linea con quella del 2020. Alla luce della dinamica dei prezzi al consumo – in forte accelerazione nella seconda metà dell’anno e pari a circa tre volte quella retributiva – si registra anche una riduzione del potere d’acquisto». Ecco giungere la prima conferma sul timore per il prossimo futuro: «La riduzione del potere d’acquisto».
E ora, a confermare quest’ultimo spettro, arriva il warning da parte di Banca d’Italia che, nella prima parte di gennaio, ha allertato gli intermediari in materia di “Operazioni di finanziamento contro cessione del quinto o della pensione. Profili di rischiosità e linee di vigilanza”. Tra i vari elementi oggetto di monitoraggio in capo ai soggetti finanziatori viene sottolineata «la necessità che i finanziatori adempiano agli obblighi di valutazione del merito di credito dei clienti, tenendo conto della complessiva situazione economico-finanziaria del debitore, non essendo sufficiente la valutazione della posizione finanziaria del datore di lavoro. Un’adeguata valutazione del merito di credito della clientela è altresì volta a prevenire i rischi di sovra-indebitamento di quest’ultima. Al riguardo, si richiama l’attenzione degli intermediari sul recente intervento legislativo in materia di composizione della crisi da sovra-indebitamento».
Pur rientrando nelle consuete informative periodiche, oggettivamente, possiamo catalogare quest’ultimo avviso al pari di un monito prudenziale relativo all’individuazione di futuri “nuovi cattivi pagatori”. Sono pochissimi i dubbi a questa nostra interpretazione.
Istat e Banca d’Italia hanno effettivamente posto all’attenzione di tutti il vero problema che l’Italia e gli italiani dovranno affrontare (e stanno già affrontando): prezzi al consumo in rialzo e destinati a salire ancora, magre buste paga per i lavoratori, e rischio di sovra-indebitamento in capo a coloro che non riescono ad arrivare a fine mese.
In tale desolato scenario, c’è qualcuno che, comunque, non vive (e vivrà) tutto questo. Sempre Istat e Banca d’Italia, nel loro recente lavoro congiunto “La ricchezza dei settori istituzionali in Italia”, hanno riportato come «A fine 2020 la ricchezza netta delle famiglie italiane è pari a 10.010 miliardi di euro, 8,7 volte il loro reddito disponibile, registrando una crescita dell’1% (circa 100 miliardi) rispetto al 2019. Le abitazioni, che hanno costituito la principale forma di investimento delle famiglie, rappresentano quasi la metà della ricchezza lorda, per un valore di 5.163 miliardi. Le attività finanziarie hanno raggiunto 4.800 miliardi, in crescita rispetto all’anno precedente, soprattutto per l’aumento di depositi e riserve assicurative. Il totale delle passività delle famiglie, pari a 967 miliardi, è rimasto pressoché stabile rispetto al 2019. Nel confronto con alcune economie avanzate, la ricchezza netta delle famiglie italiane resta elevata se rapportata al reddito lordo disponibile mentre è tra le più basse se rapportata alla popolazione».
La conclusione appare ovvia. La ricchezza delle famiglie (alcune) è cresciuta al pari di quelle delle società (alcune). Tralasciando gli averi (in calo) delle amministrazioni pubbliche, il futuro carovita impatterà a danno di molti, moltissimi, ma non di tutti. Purtroppo, ancora una volta, le disuguaglianze sono destinate ad amplificarsi con “i pochi” che vivranno e “i molti” che sopravviveranno. In Italia, nei prossimi mesi, la sempre attuale “teoria della specie” darwiniana non si potrà attuare. Prendiamo atto ora. Non domani.
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