Da fenomeno passeggero a fattore strutturale. Che non si vedeva da almeno trent’anni. Così l’indagine di Altroconsumo “Il carovita nel carrello della spesa”, presentata in anteprima alla settima edizione del Festival del Giornalismo Alimentare, descrive il fenomeno inflattivo che si registra nel mercato italiano e non solo. A salire sul banco degli imputati – dice lo studio – sono gli incrementi del costo dell’energia e delle materie prime, esacerbati dalla guerra in Ucraina. Incrementi che hanno modificato i consumi degli italiani in molti contesti – dalla mobilità ai consumi domestici, dallo shopping al tempo libero, all’assistenza sanitaria -, ma che hanno impattato in modo profondo anche su una voce di spesa tradizionalmente considerata quasi intoccabile dagli italiani come quella relativa alla tavola.
I prodotti alimentari – rivela la ricerca – sono penalizzati dagli aumenti più salati. E questi rincari – continua la survey – stanno costringendo il 63% degli italiani a cambiare abitudini in fatto di spesa. Correndo ai ripari. Per salvaguardare il proprio potere d’acquisto, infatti, il 33% dei nostri connazionali dichiara di acquistare con maggiore frequenza prodotti di primo prezzo, quelli cioè presentano in assoluto il prezzo più basso della categoria. Ma le preferenze dei consumatori ricadono anche sugli alimenti a marchio del supermercato e in generale sulle referenze super-scontate. E non è tutto. Ben il 29% degli intervistati ha infatti tagliato la spesa in cibo e bevande ritenuti non essenziali, limitando quindi gli acquisti di prodotti come alcol, dolci, snack salati.
A preoccupare di più c’è però il fatto che 1 italiano su 5 (cioè il 21%) rinuncia all’acquisto di alimenti importanti per garantire una corretta e completa alimentazione come il pesce e la carne. E che la situazione sia davvero critica lo conferma anche la riduzione dei momenti di piacere come le pause caffè al bar e le uscite al ristorante, diventate più sporadiche per il 26% degli intervistati.
Per contro, l’indagine sottolinea anche un fenomeno in controtendenza: il clima di incertezza – rileva lo studio – continua infatti a spingere gli acquisti di prodotti a lunga conservazione, come cibi in scatola, zucchero, pasta e farina. E non si tratta di un trend residuale: il 20% dei rispondenti ammette infatti di aver aumentato la spesa per questi prodotti negli ultimi mesi.
Nel percepito degli italiani – rivela infine l’indagine – l’aumento dei prezzi e la conseguente ricomposizione del basket di spesa deve essere attribuito per lo più alla guerra in Ucraina, considerata il fattore scatenante della fiammata dei prezzi dal 51% degli intervistati. Vero è però che una percentuale rilevante, il 44%, fa risalire queste dinamiche a un periodo precedente. Come pure vero è anche che la stragrande maggioranza del campione (75%) vede dietro questi rincari fenomeni speculativi.
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