“A febbraio l’inflazione ha toccato il +4,8% e con questo aumento la gente compra di meno, perché spaventata da aspettative inflattive su altri settori, dalle spese per i trasporti a quelle per la casa. E’ questo a non farci stare tranquilli”.
Giorgio Santambrogio, amministratore delegato del Gruppo VéGé, ammette che i fornitori stanno avanzando “forti richieste di aumenti di prezzo”, tanto che si è arrivati “a raggiungere incrementi lordi compresi tra il 20% e il 53%”, dalla pasta all’olio, dai legumi ai surgelati, dal riso alle confetture. Ma in questo momento non si aspetta nuove ondate inflattive e teme “più un calo dei consumi che l’inflazione”.
Caro energia e rincari materie prime: i costi ormai sono arrivati a toccare i beni alimentari. Con quale impatto?
In questo mese di febbraio, come avevamo previsto quando stimavamo che sarebbe salita dal +1,9% al 4-5%, l’inflazione è arrivata appunto al 4,8%.
Le associazioni dei consumatori usano toni molto allarmistici. Teme sia possibile un robusto calo dei consumi?
Sì. In questo frangente temo più un calo dei consumi che l’inflazione, perché abbiamo dovuto scaricare a valle questo +4,8% a fronte di aumenti di listino che sono arrivati a raggiungere incrementi lordi compresi tra il 20% e il 53%.
Quali sono le categorie di prodotti più interessate da questi aumenti?
Abbiamo ricevuto da parte dei fornitori, in tre tranche, richieste di aumenti di prezzo della pasta di semola dura fino al 53%, ma i rincari riguardano anche l’olio, i legumi, il riso, le confetture, i surgelati, il tonno, i succhi…
Quindi produttori e fornitori esercitano tuttora forti pressioni sui prezzi?
Certo. E Vegé, assieme ad altri due, è il gruppo che, a trattative chiuse, ha accettato più aumenti di listino dei fornitori.
Una scelta un po’ strana, non crede?
E’ da 30 anni che va avanti così, che all’interno della distribuzione si accettano, chi più e chi meno, gli aumenti di listino da parte dei fornitori. Ma in questo 2022 è la prima volta che si verifica in modo così preponderante. Dovremo essere molto più attenti nella gestione della marginalità.
Che cosa pensate di mettere in campo per mitigare questi effetti?
Dovremo rafforzare la spinta alle vendite sulla marca del distributore, perché rispetto ad altre marche industriali non ha quei costi di comunicazione e marketing che a loro volta hanno subìto degli incrementi.
Di solito, nei momenti di difficoltà le imprese tagliano questi costi…
Stiamo vedendo alcune cose che hanno dell’incredibile: dati alla mano, molte aziende industriali, pur lamentandosi giustamente dei rincari di energia e materie prime, stanno aumentando alla grande gli investimenti in advertising e pubblicità tradizionale. Per alcuni fornitori si parla addirittura di aumenti a tre cifre…
Questi investimenti hanno portato dei risultati?
Le cito un dato: nelle ultime 14 settimane del 2021, a parità di rete commerciale, quindi senza considerare le nuove aperture, la Gdo in generale ha avuto sempre un aumento negativo rispetto al 2020, tranne un rimbalzo nella settimana di Natale. L’anno scorso la distribuzione overall ha fatto registrare un fatturato inferiore dello 0,57% rispetto all’anno precedente.
Chi ha perso di più?
Le superfici più piccole, i liberi servizi, con un -6,74%, mentre i discount hanno lasciato sul campo lo 0,43%.
Torniamo all’inflazione. Il trend è destinato a crescere ulteriormente?
No, non mi aspetto nuove ondate inflazionistiche. Accettati questi aumenti di listino, il cui impatto sullo scaffale è diretto, poi non si possono praticare altri rincari, perché arriva una quarta richiesta di incremento. Le imprese industriali hanno già fatto i loro conti. Allorquando, però, alcune categorie di prodotto dovessero crescere sopra il 4,8%, immediatamente, come una sorta di freno a mano automatico, scatterebbe un aumento della cosiddetta profondità delle promozioni.
Che significa?
Chiederemmo ai nostri fornitori di darci una mano con le promozioni. Approfondire in gergo tecnico significa modulare l’entità dello sconto unitario. Per esempio, uno sconto al 30% potrebbe diventare al 40%, magari a parità di quantità di prodotto e di pressione promozionale, mitigando così l’aumento generalizzato e aiutando il cliente a risparmiare sulla spesa.
Accennava al timore di un calo delle vendite. Avete fatto delle stime?
No, non facciamo stime perché dobbiamo ancora capire, come tutti, cosa succederà fra Russia e Ucraina, con i riflessi in tema di rincari dell’energia e delle commodities alimentari.
Lei ha accennato in alcune interviste al fenomeno della sgrammatura, cioè la riduzione del peso di una confezione. Si sta diffondendo?
Sì, ma è un fenomeno da analizzare con attenzione. Se è scientificamente giustificato per evitare sprechi di prodotto, mi trova d’accordo. A essere grave è che spessissimo i produttori effettuano la sgrammatura, chiedendoci però di mantenere inalterato il prezzo. Questo non va assolutamente bene, è scorretto, anche perché il cliente è indotto a pensare che sia colpa della distribuzione, che ha deciso di tenere lo stesso prezzo. La nostra proposta, visto che tra l’altro bisogna già cambiare il relativo codice a barre, è quella di rimodulare anche il prezzo d’acquisto, abbassandolo.
Altrimenti?
I fornitori ci inibiscono la possibilità di tagliare quello di vendita, e ciò andrebbe a incidere ancor più negativamente sui nostri margini.
A proposito di margini, a che punto è arrivata la riduzione per il mondo della distribuzione?
A questo punto lavorare ancora di più sulle efficienze di processo, così da poter guadagnare qualche centesimo di punto da ricentrare sul margine, sarà la nuova parola d’ordine: non che prima si buttassero via i soldi, ma adesso serve un maggior approccio scientifico e una maggiore attenzione a non sprecare nulla.
Il Governo non può certo intervenire direttamente per calmierare i prezzi. Ma è possibile immaginare degli interventi?
Come tavolo di filiera abbiamo avanzato delle proposte, ma non abbiamo ancora ricevuto una risposta.
Sono proposte tuttora valide?
Noi chiediamo innanzitutto un taglio del cuneo fiscale, una diminuzione temporanea dell’Iva sui beni primari dal 4% al 2% e l’inserimento con codice Ateco della moderna distribuzione fra i settori energivori, per poter usufruire degli sgravi fiscali.
Che cosa riserverà il 2022?
Sarà caratterizzato da una mega-competizione a livello di filiera, cioè industria versus distribuzione, e tra le varie insegne. E questa doppia accelerazione competitiva, verticale e orizzontale, potrebbe trasformarsi in un punto di forza per il cliente consumatore.
(Marco Biscella)
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