Più 4,8% rispetto a un anno fa, un record che non si vedeva dal 1996. A tanto ammonta negli ultimi 12 mesi la crescita dell’inflazione registrata dall’Istat nel mese di gennaio 2022, quasi un punto percentuale in più rispetto al dato tendenziale di dicembre (3,9%). A trainare il caro vita verso l’alto sono, ovviamente, gli aumenti folli dei prezzi dell’energia, la cui impennata su base annua passa dal +29,1% di dicembre al +38,6%. Ma la fiammata ha cominciato a “surriscaldare” anche i prezzi dei beni alimentari. Guardando con apprensione al deterioramento in atto dell’economia italiana (evidenziato da molte imprese energivore, che stanno a monte di molte produzioni del made in Italy) e alle tensioni fra Russia e Ucraina, con possibili riflessi pesanti sulle forniture e sui costi del gas e del grano, che cosa dobbiamo aspettarci dall’inflazione quest’anno? E che impatto potrà avere il caro vita sui consumi degli italiani? Assisteremo a un ulteriore aumento del tasso di povertà? Ne abbiamo parlato con Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat.



Crisi energetica e inflazione in risalita: sono le due ombre che pesano sulle prospettive economiche del 2022. In che misura?

Stiamo uscendo da una guerra, con un bilancio in termini di vite perdute terribile. E purtroppo i segnali che ci arrivano dal fronte dei prezzi dicono che l’uscita non sarà facile né veloce. L’economia è in netta ripresa, la produzione industriale italiana a fine 2021 superava i livelli pre-pandemia di circa l’1,5%, mentre i consumi delle famiglie nel complesso sono ancora al di sotto dei livelli pre-crisi di oltre il 4%. Questa fiammata di inflazione che stiamo registrando mese dopo mese certo non aiuta: sappiamo che è perlopiù dovuta ai prezzi dell’energia, ma a gennaio anche l’inflazione di fondo, ovvero al netto degli energetici, si è avvicinata al 2%. Chiaro che in una situazione di incertezza legata agli sviluppi della pandemia i consumi ne possono risentire.



Le tensioni fra Russia, uno dei maggiori fornitori di gas all’Europa, e Ucraina, uno dei granai del continente, che impatto possono avere sull’inflazione italiana?

Speriamo davvero che non si apra un altro fronte di guerra, perché le conseguenze andrebbero ben oltre i prezzi al consumo. L’inflazione italiana – e questa in fondo è una buona notizia – è diventata un’inflazione europea. Nella statistica flash sui prezzi di gennaio abbiamo pubblicato un approfondimento sui primi vent’anni di inflazione italiana con la moneta unica, e si scopre che il nostro indice armonizzato si è mosso in linea con quello dell’area euro, con un dato cumulato di 42 punti percentuali contro i 41,8 dell’eurozona. A metà degli anni Novanta il disallineamento era significativo, diciamo che oggi, in un contesto di elevata incertezza, almeno questa convergenza siamo riusciti a ottenerla.



Molti settori in difficoltà si vedono costretti a scaricare a valle gli aumenti folli che hanno subìto nella seconda parte del 2021. C’è chi prevede a fine anno un’inflazione sopra il 5%. È plausibile? E quanto ne risentirebbero le dinamiche dei consumi?

Già a gennaio il nostro indice armonizzato, l’Ipca, ha registrato una variazione annualizzata del 5,3% contro il 5,1% dell’Eurozona. Mentre l’inflazione acquisita, ovvero la variazione media dell’indice che si avrebbe con una sua invarianza da qui a fine anno, è ora del 3,4% per l’indice generale e dell’1% per la componente di fondo. L’inflazione riguarda in particolare i prezzi dei beni e dell’energia e colpisce in particolar modo le famiglie più povere. Come dicevo prima, se nei prossimi mesi questa tendenza si manterrà, gli effetti sui consumi si faranno sentire.

L’indice di fiducia delle famiglie è in calo “in tutte le sue componenti”: un trend destinato a continuare?

A gennaio l’indice di fiducia delle imprese ha toccato i minimi da nove mesi. L’intensità della diminuzione è determinata dal repentino calo della fiducia nel comparto dei servizi di mercato, dove il settore del trasporto e magazzinaggio e quello dei servizi turistici registrano forti cadute. Gli unici segnali positivi provengono dal commercio al dettaglio, con i giudizi sulle vendite in lieve miglioramento, e dal comparto delle costruzioni nel quale le aspettative sull’occupazione aumentano decisamente. Anche l’indice di fiducia dei consumatori registra una flessione, seppur più contenuta rispetto al comparto produttivo, dovuta soprattutto al peggioramento delle attese sulla situazione economica dell’Italia e sull’andamento della disoccupazione.

Nel 2022 è prevedibile un ulteriore aumento del tasso di povertà?

Gli ultimi dati diffusi dall’Istat lo scorso mese di giugno ci dicono che l’incidenza della povertà assoluta in Italia era in forte crescita nel 2020, l’anno peggiore della crisi. Si contavano oltre due milioni di famiglie in povertà, con un’incidenza passata dal 6,4 del 2019 al 7,7%, e oltre 5,6 milioni di individui, in crescita dal 7,7 al 9,4%. Il valore dell’intensità della povertà assoluta a livello familiare – che misura in termini percentuali quanto la spesa mensile delle famiglie povere è in media al di sotto della linea di povertà – segnalava, tuttavia, una riduzione (dal 20,3 al 18,7%). Sull’incidenza della povertà hanno anche inciso le misure messe in campo a sostegno dei cittadini, che hanno consentito alle famiglie in difficoltà economica – sia quelle scivolate sotto la soglia di povertà nel 2020 sia quelle che erano già povere – di mantenere una spesa per consumi non molto distante dalla soglia di povertà. Non faccio previsioni sul tasso di povertà, ma mi limito a una considerazione: una crescita meno forte e una maggiore inflazione non aiuteranno certo a migliorare il quadro.

Secondo alcuni osservatori, il Pil del 2021 (+6,5%) è una fotografia che non coglie il deterioramento dell’economia in atto. Che ne pensa?

Nella serie dei conti nazionali l’ultimo precedente di una crescita del genere risale al 1976. Negli ultimi due anni il Prodotto interno lordo ha subìto un’oscillazione superiore ai 15 punti, prima con un crollo vicino al 9% nel 2020 e poi con il recupero che abbiamo appena comunicato. Siamo di fronte a una non linearità, rispetto alla crescita piatta dei vent’anni precedenti, che andrà letta con grande attenzione, soprattutto nelle revisioni che verranno fatte nei trimestri a venire. Il tema degli effetti permanenti lasciati da questa crisi sul potenziale della nostra economia sarà al centro delle analisi che verranno, si spera in un contesto di nuova normalità che tutti auspichiamo. Come è stato spiegato dai nostri colleghi della Contabilità nazionale, per il momento limitiamoci a dire che, se nei primi tre mesi di quest’anno avremo una crescita dello 0,5-0,6%, vorrà dire che ad aprile il valore del Pil in volume sarà tornato ai livelli pre-Covid, ovvero quelli di fine 2019.

Confindustria teme nel primo trimestre uno stop del Pil pari a -0,8%, ma il Governo è fiducioso di poter centrare una crescita 2022 superiore al 4%. Che cosa dicono le vostre stime attuali?

Istat pubblica due volte l’anno le sue previsioni macroeconomiche: in giugno e a dicembre. E sono previsioni annuali, non sui trimestri. Diciamo che il passaggio dal +2,6% del terzo trimestre 2021 al +0,6% del quarto produce una derivata piuttosto bassa sui primi novanta giorni di quest’anno. Staremo a vedere. E vedremo anche che cosa ci dicono i nuovi dati che raccoglieremo via via sulle componenti del Pil e che diffonderemo nei conti trimestrali i primi di marzo. Oggi abbiamo un Pil acquisito del 2,4%, diciamo che per arrivare attorno al 4% annuo a fine 2022, come prevedono al Mef o in Banca d’Italia, bisognerà fare molto bene nei tre trimestri finali.

(Marco Biscella)

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