Mentre prosegue il Consiglio europeo, si continua a parlare delle dichiarazioni di Christine Lagarde, che a Sintra ha spiegato che in occasione della prossima riunione del Consiglio direttivo della Bce a fine luglio ci sarà un nuovo rialzo dei tassi e che “è improbabile che nel prossimo futuro la banca centrale sia in grado di dichiarare con assoluta certezza che il livello massimo dei tassi sia stato raggiunto”.



Come ci spiega Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, ora Direttore del Policy Observatory della Luiss, la Presidente della Bce «ha delineato un quadro in cui si prevede una postura di politica monetaria particolarmente restrittiva, anche in prospettiva, perché non solo ha parlato di ulteriori rialzi dei tassi, ma ha indicato che i tassi resteranno elevati per un periodo di tempo che sembra essere esteso e, soprattutto, non ha fornito indicazioni circa la prossimità rispetto al tasso terminale».



Le parole della Lagarde sono state criticate in modo compatto dal Governo italiano tramite sia la Premier Meloni che i vicepremier Salvini e Tajani. Cosa ne pensa?

La Bce è indipendente, ma è legittimo stimolare un pubblico dibattito sulle sue scelte. Detto questo, temo solo che attacchi diretti possano alimentare una cultura del fortino che le banche centrali tendono un po’ a prediligere. Se, quindi, l’obiettivo è influenzare le future decisioni della Bce, sempre nel rispetto della sua indipendenza, in questo modo si rischia di farlo nella direzione contraria a quella auspicata. Bisognerebbe, invece, utilizzare le categorie concettuali proprie dei vertici della Bce e cercare di trovare eventuali punti di contraddizione nel loro impianto di analisi per poterne poi indebolire le conclusioni.



C’è, a suo avviso, un punto debole nell’impianto di analisi della Lagarde?

La Presidente della Bce riconosce l’esistenza di un elemento di incertezza nella trasmissione degli impulsi di politica monetaria all’economia reale, legata al fatto che dopo oltre un decennio di tassi a zero sono stati aumentati in un solo anno di 400 punti base, a un ritmo mai visto nella storia dell’Eurozona. Non si è, quindi, in grado di prevedere con l’accuratezza necessaria l’impatto di questi tassi alti sull’economia. La conclusione della Lagarde è che occorra fare di più. Io credo, invece, che se c’è questa situazione di incertezza che rende difficile collegare in modo preciso lo strumento che si usa con l’obiettivo che si vuol raggiungere si rischia di fare troppo e di scoprirlo quando ormai è tardi.

Di fatto, i rischi potrebbero superare i benefici…

Esattamente. Tra l’altro non si può certo rimproverare la Bce di aver fatto troppo poco rispetto allo shock inflazionistico. Il punto è che il tasso di interesse è uno strumento un po’ grezzo, non molto preciso, e l’averlo utilizzato in misura così significativa e continuare a farlo rischia di creare conseguenze non volute e di accorgersene troppo tardi. Anche perché, come si è visto negli Usa, ci possono essere delle turbolenze finanziarie causate proprio dal repentino rialzo dei tassi e dalla difficoltà degli operatori economici di adeguarvisi. Si tratta di una prospettiva che non possiamo escludere per l’Eurozona, tant’è che il Fondo monetario internazionale l’ha rilevato nel suo intervento a Sintra.

Sarebbe, quindi, meglio che la Bce fermasse il rialzo dei tassi.

Sarebbe consigliabile una pausa, non per minare la credibilità del processo disinflazionistico, ma a mio avviso per rafforzarla, valutando appieno l’impatto delle restrizioni finora introdotte.

Ma quale strumento va allora usato insieme o al posto dei tassi di interesse per abbassare l’inflazione?

Come si evince anche dalle analisi della Lagarde, dopo lo shock iniziale determinato dai prezzi delle materie prime energetiche, l’inflazione si è propagata grazie al fatto che le aziende non hanno assorbito l’aumento del costo degli input, ma l’hanno trasferito ai consumatori, tanto è vero che i loro profitti nell’ultimo anno sono stati particolarmente rilevanti. Nel frattempo, i salari reali sono diminuiti e anche se a livello nominale aumenteranno, non recupereranno il potere d’acquisto perduto.

Bisognerebbe quindi cercare di fare in modo che le imprese assorbano questi aumenti di costo degli input che hanno scaricato sui consumatori?

Sì, il contributo delle imprese a propagare lo shock inflazionistico è stato particolarmente elevato. Occorre in qualche modo deflazionare i loro profitti. Del resto i lavoratori hanno assorbito l’aumentato costo della vita, non lo hanno scaricato sui conti dei loro datori. C’è, quindi, un’asimmetria che è rilevante sotto diversi punti di vista. Si potrebbe agire, per esempio, con un aumento, pur temporaneo, dell’imposizione fiscale.

Un aspetto da non trascurare è poi l’impatto del rialzo dei tassi sui conti pubblici…

A Sintra c’è stato un dibattito anche sulle implicazioni di tassi così sostenuti e della velocità nel rialzo che potrebbe portare a una divaricazione degli spread e a condizioni sui mercati non più particolarmente favorevoli come quelle cui siamo stati abituati. Ovviamente, per Paesi come l’Italia, ciò crea un elemento di preoccupazione ulteriore, perché le restrizioni monetarie hanno l’effetto di alzare la spesa per interessi e, quindi, di indurre una politica fiscale più restrittiva.

Questo vuol dire, che l’Italia non dovrà mollare sulla riforma del Patto di stabilità.

Assolutamente. Più la politica monetaria diventa restrittiva, più è importante che il Patto di stabilità consenta un approccio più flessibile e idiosincratico, che non vuol dire incoraggiare politiche fiscali espansive, ma semplicemente evitare la trappola dell’austerità che abbiamo visto al lavoro un decennio fa con risultati devastanti per tanti Paesi europei. È importante che il Patto di stabilità preservi un impianto che valorizzi le circostanze specifiche di ciascun Paese, fatto salvo l’obiettivo della sostenibilità del debito nel medio lungo termine.

Nel frattempo il Governo ha individuato in Fabio Panetta il successore di Ignazio Visco alla guida della Banca d’Italia. Cosa ne pensa?

È una scelta che valorizza la continuità, oltre che l’esperienza europea di Panetta e la sua vicinanza agli inner workings della Bce e dell’Eurosistema. Peraltro Panetta ha sempre sostenuto una politica monetaria sì disinflattiva, ma con prudenza. Il Governo dovrà ora assicurarsi che il suo posto nel Consiglio direttivo della Bce venga preso da un economista autorevole e che, soprattutto, abbia esperienza di banche centrali e di euro.

(Lorenzo Torrisi)

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