l monitoraggio diffuso dall’Istat relativo ai prezzi al consumo di giugno consegna un verdetto amaro per chi ogni giorno deve fare quadrare i conti familiari: nel mese di giugno il tasso di inflazione ha continuato la sua corsa, facendo segnare un rialzo dell’indice generale pari all’8% e registrando una crescita relativa al solo carrello della spesa dell’8,3%. Numeri che hanno messo in forte allarme le associazioni del commercio.
“Il dato sull’andamento dei prezzi – commenta l’Ufficio Studi di Confcommercio – rappresenta un ulteriore salto indietro nel tempo, con valori così elevati, sia in termini di profili mensili sia annuali, che non si registravano dalla fine degli anni ’80. E non consola sapere che il dato italiano è allineato a quanto si rileva nel complesso dell’area euro, dove a giugno si registra un +8,6% tendenziale. Inoltre, come paventato da tempo, le pressioni inizialmente concentrate nel comparto energetico si sono ormai diffuse ad altri settori, in primis a trasporti e alimentare”.
E a complicare le cose c’è il fatto che il carrello della spesa segna un significativo ulteriore incremento, “nonostante le imprese della Distribuzione Moderna non stiano ancora trasferendo sui prezzi di vendita tra 2 e 3 punti percentuali d’inflazione che hanno già riconosciuto nella fase di acquisto”, osserva Carlo Alberto Buttarelli, Direttore Ufficio Studi e Relazioni con la Filiera di Federdistribuzione.
Difficile dunque poter immaginare che queste premesse diano spazio a prospettive serene. “Alla luce di queste dinamiche e delle persistenti tensioni che agitano i mercati delle materie prime – afferma l’Ufficio Studi di Confcommercio – diventa sempre più complicato ipotizzare un rientro delle tensioni inflazionistiche nel breve periodo. Elemento che rende sempre più concreta la possibilità di un’inflazione, nella media del 2022, superiore al 7% e di un rientro molto graduale nel 2023, con inevitabili pesanti effetti sul reddito disponibile e sul potere d’acquisto della ricchezza detenuta in forma liquida da parte delle famiglie, con conseguenti riverberi negati sui comportamenti di spesa“. E questo, in altre parole, significa che “se, al momento, gli effetti sui consumi appaiono ancora limitati – osserva Confcommercio -, è molto probabile che da settembre le famiglie saranno costrette a una selezione degli acquisti, con gravi effetti negativi sui consumi e, quindi, sul Pil”.
Una previsione che trova conferma anche nelle stime di Federdistribuzione “Secondo una recente rilevazione che abbiamo condotto con Ipsos sul sentiment dei consumatori – spiega Buttarelli – 9 italiani su 10 prevedono di attuare qualche strategia per ridurre l’impatto degli aumenti sulle proprie finanze, a partire da una riduzione dei consumi”. Ma non solo. “Oltre un terzo degli italiani (32%) – nota Buttarelli – non è disposto a pagare di più per l’acquisto di prodotti di qualità a fronte di un aumento superiore al 5% del loro prezzo. Un’ulteriore conferma del rischio per la tenuta delle filiere agroalimentari italiane di eccellenza, con un impatto negativo sulla crescita del Paese”.
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