Ancora una volta i numeri e i relativi conti non tornano. Questa volta il dubbio sul calcolo fatto non riguarda il nostro Paese, bensì le sorti dell’intero Vecchio Continente. A chi ricade l’onere di questo potenziale errore o presunto tale? Oggi tocca alla Commissione Ue. In un momento delicato come quello attuale dove Premier politici presentano le loro dimissioni poi accettate (Boris Johnson) ma anche respinte (Mario Draghi), il conflitto tra Russia e Ucraina anziché ridurre il proprio slancio, invece, sembra prendere più quota all’insegna di una crisi economica mondiale testarda nel suo intercedere, ecco, come a lato di tutto questo, l’arrivo di una (presunta) errata valutazione dal punto di vista economico desta molta più preoccupazione rispetto a tempi più “tranquilli”. 



Nel corso della settimana la Commissione europea ha diffuso il suo consueto outlook riconducibile alle cosiddette “Previsioni economiche d’estate” che, come si apprendere dallo stesso Comunicato stampa, «contengono un aggiornamento delle previsioni economiche di primavera 2022 presentate nel maggio 2022, e sono incentrate sull’andamento del Pil e dell’inflazione in tutti gli Stati membri dell’Ue». Un vero e proprio check-up sui conti di ciascun Paese che, tenuto conto del periodo, potrebbe raffigurare un verosimile “tagliando estivo” in vista di prossimi e ormai imminenti viaggi fuori porta. Se così fosse, nell’insieme dei rilievi che la Commissione Ue ha presentato, quello relativo all’inflazione (ovvero la destinazione comune a tutti gli Stati membri) desta perplessità e preoccupazione. 



Nella prima parte del rapporto (rif. Comunicato stampa), infatti, si può leggere come «Si prevede che l’inflazione media annua raggiunga i massimi storici nel 2022, attestandosi al 7,6% nella zona euro e all’8,3% nell’Ue, per poi scendere rispettivamente al 4,0% e al 4,6% nel 2023». Proseguendo nella lettura e soffermandosi sul successivo contenuto dedicato alla sola inflazione (rif. “Nel 2023 si prevede un rallentamento dell’inflazione record“), si riscontra una pressoché revisione del precedente scenario ovvero: «L’inflazione dovrebbe raggiungere un picco dell’8,4% su base annua nel terzo trimestre del 2022 nella zona euro e successivamente registrare un calo costante fino a scendere al di sotto del 3% nell’ultimo trimestre del 2023, sia nella zona euro che nell’Ue, grazie all’allentamento delle pressioni derivanti dalle strozzature negli approvvigionamenti e dai prezzi delle materie prime».



Pertanto, dalla comparazione (e sintesi) di tali risultanze, il quantum dell’inflazione appare alquanto variabile (fin troppo) in ottica futura. Prendendo, infatti, come riferimento la sola zona euro, da una parte emerge chiaramente un’inflazione media annua ai massimi storici (quest’anno) pari al 7,6% per poi vederla calmierare fino a un 4,0% nel 2023. Successivamente, però, la stessa incognita (l’inflazione) viene rivista in «calo costante fino a scendere al di sotto del 3% nell’ultimo trimestre del 2023 (sia nella zona euro che nell’Ue)». Tali stime, come è indubbio, appaiono decisamente aleatorie tra loro: di fatto, lo scarto pari a un punto percentuale incorpora nel suo ammontare una serie di problematiche di diversa natura. La prima difficoltà è quella dal punto di vista finanziario: a causa di tale (ampia) variabilità non è plausibile – fin da ora – l’individuazione di possibili scenari in capo a un’attenta pianificazione degli investimenti. Viceversa, sul versante economico, stando ai numeri riscontranti e al gap evidente, sorgono molti dubbi su quanto strettamente legato alle prossime mosse di politica monetaria in sede Bce.

Non è la prima volta che incappiamo in difformità nelle stime presentate dai principali attori e Istituti di ricerca. Gli errori sono comprensibili e, paradossalmente, grazie agli stessi si creano opportunità di successo e insuccesso sui mercati finanziari: quotidianamente. Quello che intimorisce, è bene riportarlo all’attenzione di tutti, risiede nella sostanza dei fatti: il famoso quantum oggetto del contendere è decisamente ampio. Troppo. Questa plausibile e potenziale errata valutazione comporterebbe un’irrimediabile ripercussione sia per le casse dei singoli Paesi, sia per le tasche dei loro cittadini. Comprendiamo benissimo l’attuale stato di incertezza in coloro che devono “prevedere”, ma, allo stesso tempo, conosciamo anche molto bene l’attuale stato di smarrimento in tutti coloro che, dopo aver letto di una revisione peggiorativa (magari l’ennesima) di un dato economico, volgono lo sguardo ai loro averi e apprendono di nuove e inaspettate perdite. Dura lex, sed lex? Se fosse possibile vorremo evitarlo.

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