Eurostat ha concluso la settimana finanziaria ponendo il sigillo alle sue precedenti proiezioni sull’inflazione: a maggio, il livello per l’Ue si attesta all’8,8% su base annua rispetto all’8,1% di un mese prima, nell’area euro si registra un’accelerazione che porta a un 8,1% dal 7,4% di aprile.
Per entrambe le aree geografiche oggetto di rilevazione si può riscontrare un comune e significativo incremento rispetto ai valori del 2021: a distanza di un anno, infatti, i valori di allora (2,0% e 2,3%) – coincidente con l’obiettivo di politica monetaria della Bce (target al 2%) – hanno poi proseguito con un sostanziale e pressoché univoco andamento al rialzo di ben oltre sei punti percentuali.
Medesima sorte, ma, ancor più amara (e cara) poiché riguarda i nostri confini nazionali è quanto imputabile all’Italia: 7,3%, ossia il nuovo massimo di anno che, di fatto, si discosta per il deciso aumento rispetto sia al precedente record di marzo (6,8%) che al recente e ultimo 6,3% (aprile). Anche per il Bel Paese, l’attuale inflazione, vede un peggioramento quantitativo di simile entità dell’intero Vecchio continente: poco superiore ai sei punti se paragonato all’1,2% di maggio 2021.
Da questa conferma di Eurostat, il dato sull’inflazione nostrana deve imporre un serio e definitivo approfondimento. Ai lettori più attenti, l’aver oltrepassato soglia 7%, non può apparire come un nefasto presente. Su queste pagine – a inizio marzo – noi stessi ci esponevamo “fuori dal coro”: «PREZZO PETROLIO/Il rialzo che fa volare l’inflazione verso il 7%». Inoltre, nella chiosa finale, palesavamo un malvisto (probabilmente agli occhi di molti osservatori) monito: «appare plausibile individuare una potenziale e continua crescita nei prossimi mesi fino al superamento di soglia 7,1% su base annua». In quell’occasione, la nostra stima prendeva come riferimento la dinamica riconducibile al NIC (l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività) calcolato da Istat, ma, oggi, non è un azzardo ipotizzare come, nonostante la differenza tra i due soggetti divulgatori (Istat ed Eurostat), il destino dell’Italia possa verosimilmente percorrere la medesima strada prescindendo dalla fonte del dato.
Certamente, quest’ultima rilevazione di Eurostat conferma, inoltre, le nostre recenti perplessità su di un possibile errore di valutazione (di Istat) in ottica futura. Paradossalmente, se di paradosso si può parlare, in altre stanze diverse da quelle del principale Istituto di ricerca nazionale, la stima sull’inflazione della penisola italica ha già visto aggiornati (al rialzo) i propri valori. Banca d’Italia, recentemente, nel suo documento “Proiezioni macroeconomiche per l’economia italiana”, ha così riportato: «L’inflazione al consumo si collocherebbe al 6,2 per cento nella media di quest’anno3» ma, allo stesso tempo, con l’indicata nota numero tre ha poi rimandato a: «3La proiezione non include la stima flash dell’inflazione di maggio, diffusa alla fine del mese (l’attuale 7,3% Eurostat ndr), che ha sorpreso al rialzo in Italia come anche in altri paesi dell’area dell’euro. Includendo tale stima, l’inflazione media annua nel 2022 risulterebbe meccanicamente più elevata di oltre mezzo punto percentuale».
Se così fosse, purtroppo, verrebbero confermati i nostri precedenti timori sulla recente stima di Istat (rif. inflazione al 5,8% nel 2022). Parallelamente, però, non possono essere sottovalutate – ed è bene ricordarle (ancora) – alcune conclusioni alle quali Banca d’Italia giunge attraverso una propria valutazione prospettica sull’intero scenario inflattivo (cosiddetto “Scenario avverso“): «L’inflazione al consumo subirebbe un netto aumento nel 2022, avvicinandosi all’8,0 per cento, e rimarrebbe elevata anche nel 2023, al 5,5 per cento, per scendere decisamente solo nel 2024».
Attualmente, ci è sufficiente quanto finora emerso da Eurostat e, guardando ai prossimi mesi, attendiamo un allineamento – anche – da parte di Istat. Se ciò non dovesse accadere, porgiamo fin da oggi le scuse all’Istituto per la nostra incauta valutazione e, verosimilmente, attendiamo che si faccia lo stesso da parte di soggetti molto più autorevoli di noi: Eurostat e Banca d’Italia. Attendiamo.
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