L’inflazione continua a destare preoccupazioni. L’Ocse giovedì ha fatto sapere che a ottobre il tasso medio dei Paesi membri si è attestato al 5,2%, livello più alto dal 1997. A novembre nell’Eurozona si è arrivati al 4,9%, un record da quando esiste la moneta unica. In Germania è stato raggiunto un picco del 6%, un dato da non sottovalutare tenendo presente quanto a Berlino sia temuta e osteggiata l’inflazione.



C’è da chiedersi se la Bce continuerà a ritenere temporaneo questo rialzo dei prezzi o se invece farà dietrofront come la Fed, il cui Presidente, nella giornata di martedì, ha detto di ritenere “sia probabilmente il momento giusto per ritirate il termine ‘transitorio'”. «A questo punto – spiega Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano – si fa più concreto il rialzo dei tassi Usa il prossimo anno. Resta da capire cosa succederà alla dinamica inflattiva una volta che questa misura verrà adottata».



In che senso?

Le previsioni di un rialzo dell’inflazione di breve durata non si sono materializzate. Il livello dei prezzi ormai è cresciuto mentre i redditi sono rimasti stabili. Questo significa che il potere d’acquisto delle famiglie è diminuito e se i prezzi non cominceranno a scendere si arriverà inevitabilmente a un rallentamento dell’attività produttiva, che invece si è cercato di stimolare in questi mesi.

C’è anche da chiedersi cosa farà la Bce di fronte anche a questo dietrofront della Fed…

Credo che la Fed abbia poca scelta vista anche la forte spinta arrivata da Biden ad affrontare il problema dell’inflazione crescente. Per quanto riguarda la Bce, penso che si allineerà gradualmente alla Banca centrale americana, ma mi aspetto che le sue politiche espansive proseguano, anche se in modo diverso e magari non così incisivo come finora avvenuto. Per esempio, attraverso un sostegno più deciso alla green economy e ai bond a essa collegati. Mi lasci aggiungere una considerazione sul rialzo inflazionistico che stiamo registrando in questi mesi.



Prego.

Lo trovo decisamente anomalo rispetto al rimbalzo dell’economia che c’è stato. E non si può non notare che arriva dalla Cina, un competitor degli Stati Uniti particolarmente presente sul mercato delle materie prime per le quali la domanda, per quanto cresciuta, non si può dire sia maggiore rispetto al 2019. L’impressione è che non ci sia alcun tentativo di aumentarne rapidamente la disponibilità per stare dietro alla richiesta. E se c’è di mezzo un Paese come la Cina si può anche ipotizzare che ciò derivi da una scelta politica.

Possiamo dire che questa inflazione è “esportata” volontariamente dalla Cina?

Non si può formulare una diagnosi così netta, perché la disponibilità di materie prime non viene negata in assoluto: semplicemente l’offerta delle stesse non rimbalza quanto l’economia. In Europa poi pesano molto i rincari energetici. Sembra non ci sia mossi per fare quello che si sarebbe dovuto fare dagli anni Settanta, cioè essere abbastanza lungimiranti e investire per individuare modalità per essere meno dipendenti dalle forniture dall’estero. Questo crea particolari problemi alla Germania, che è la fabbrica d’Europa ed è molto più esposta alla dinamica dei prezzi dell’energia.

L’Europa per certi versi è stata presa in contropiede rispetto alle sue scelte sulla transizione energetica.

Allora mi vien da dire, per citare Andreotti, che a pensare male si fa peccato, ma spesso si indovina. Nel senso che trovo veramente anomalo questo rialzo dei prezzi. Abbiamo già avuto, nel 2008-09, e dopo il 2011, un brusco calo del Pil e poi una ripresa, ma non c’è stata una reazione analoga. Vien da pensare che dietro ci siano le scelte di alcuni “cartelli”, vuoi dell’energia, vuoi delle materie prime.

La Bce resisterà al pressing tedesco, visto il +6% raggiunto dall’inflazione in Germania?

Credo di sì, penso che Francia e Italia saranno in grado di bilanciare i timori tedeschi. D’altra parte non dobbiamo dimenticare che se si soffoca la ripresa europea anche la Germania rischia di pagarne le conseguenze, anche a livello sociale. Ciò non toglie che il nostro Paese avrà più problemi degli altri, perché basta un piccolo movimento dello spread per rendere più costoso il servizio del debito.

Cosa si può fare concretamente per evitare di innescare una spirale salari-prezzi piuttosto che un principio di stagflazione?

In effetti è molto facile “sbandare” e negli anni ’80 c’è costato un aumento del debito pubblico che ancora oggi ci tormenta. Quello che lo Stato può cercare di fare è utilizzare i fondi disponibili e intervenire per quanto possibile sulle aziende partecipate per far in modo che vengano limati gli utili piuttosto che aumentare le tariffe o i prezzi. Credo anche che una volta superato l’inverno, quando verrà meno il periodo di maggior utilizzo delle materie prime energetiche, potremo tirare il fiato.

(Lorenzo Torrisi)

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