Non dite che non ce l’avevano detto. In effetti, scontenti del fatto, non solo l’hanno detto più volte, ripetuto ancora, e sottolineato in varie sedi, ma, addirittura, l’hanno anche scritto: nel consueto e periodico “Bollettino economico Bce n. 2/2022” diffuso la scorsa settimana. Probabilmente, vista la mastodontica profondità di analisi (conta ben 165 pagine la versione italiana del documento), in molti si saranno fermati alla sola lettura dell’introduzione con qualche occhiata curiosa e incuriosita su alcuni grafici riportati.
Ebbene, se invece vi fosse stata una maggiore applicazione di natura studentesca, le considerazioni e i numerosi rilievi posti dall’autore (decisamente illustre) avrebbero fatto riflettere i molti osservatori che in queste ultime ore si definiscono alquanto sorpresi (e aggiungeremo “preoccupati”) per la diffusione del dato di ieri sull’inflazione in Spagna: l’Ine (Istituto Nazionale di Statistica spagnolo) ha comunicato che a marzo il livello dei prezzi ha registrato un incremento del 3% rispetto al precedente +0,8% di febbraio che, su base annuale, vede una stima al +9,8% anziché il +8% delle attese.
L’attuale rilevazione rappresenta la più alta da maggio 1985 e, nonostante le rassicurazioni del premier Pedro Sanchez durante il suo intervento al Parlamento («invertire la tendenza è possibile e il governo ha come obiettivo stabilizzare l’evoluzione del costo della vita» fonte Ansa), la “cara” progressione inflazionistica potrebbe ancora aumentare.
Oggi, toccherà all’Italia, al nostro Paese, al nostro Istat, comunicare al mondo intero il proprio “indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic)” o più comunemente riconosciuto come l’ormai consueta e temuta inflazione. Visto la vicina Spagna, i timori alla vigilia, sono alquanto giustificati. Vedremo.
In tutto questo, però, è opportuno fare un passo indietro e ritornare all’inizio ovvero al citato “Bollettino economico Bce n. 2/2022”. In tale pubblicazione, il destino dell’Europa è alquanto evidente: scritto, senza alcun fraintendimento.
Nella prima pagine del cosiddetto “Quadro generale” si legge: «Lo scenario di base delineato per l’inflazione nelle nuove proiezioni degli esperti ha subito una significativa revisione al rialzo. Le aspettative di inflazione a più lungo termine desunte da una serie di misure si sono riancorate all’obiettivo di inflazione della Bce. Il Consiglio direttivo considera sempre più probabile che l’inflazione si stabilizzi sull’obiettivo del 2 per cento nel medio periodo». In tale passaggio, il possibile e comprensibile dubbio, potrebbe arrivare sulla mera quantificazione di «medio termine» come, allo stesso modo, nel passaggio successivo «L’inflazione potrebbe essere considerevolmente più elevata nel breve termine». Anche in quest’ultima considerazione, comprendere il significato di «breve termine» riporta ancora al precedente dubbio interpretativo.
Tralasciando per un breve momento questa volontà purista di voler inquadrare l’eventuale numero sul periodo di riferimento, nello stesso Bollettino viene già anticipata la possibile debacle inflazionista dei giorni nostri: «Le proiezioni macroeconomiche formulate dagli esperti a marzo 2022 prevedono un tasso annuo di inflazione del 5,1 per cento nel 2022, del 2,1 per cento nel 2023 e dell’1,9 per cento nel 2024, valori notevolmente più elevati rispetto all’esercizio di dicembre, in particolare per il 2022» che, malauguratamente, nel definito «scenario più grave» vedrebbe l’inflazione essere «superiore di 2 punti percentuali nel 2022 e significativamente più elevata anche nel 2023».
Ecco giungere a una nuova soglia – verosimilmente di sette punti percentuali – ben al di sopra dei cinque punti percentuali e ancor più distante dall’obiettivo del 2%.
Anche per queste recenti risultanze potrebbe non esserci grosso stupore. Di fatto, la presidente della Bce Christine Lagarde intervenendo alla conferenza “The ECB and Its Watchers XXII” (17 marzo), aveva già anticipato il contenuto del successivo Bollettino: «Le ultime proiezioni di base dello staff della Bce – che includono una prima valutazione dell’impatto della guerra – vedono l’inflazione, in media, al 5,1% quest’anno. In uno scenario più severo, l’inflazione potrebbe superare il 7% nel 2022» (fonte Agi).
Sicuramente, tenuto conto di questi molteplici elementi, l’attenta platea finanziaria non manifesterà alcun cenno di stupore, anzi, quasi certamente ne trarrà giovamento (almeno nell’inconscio).
A tale potenziale festa egoica, però, un breve e inaspettato fremito potrebbe essere giunto nel corso della mattinata di ieri quando, sempre la presidente Lagarde, durante un evento organizzato dalla banca centrale di Cipro ha apertamente dichiarato: «L’Europa sta entrando in una fase difficile. Nel breve periodo ci troveremo di fronte a un’inflazione più elevata e a una crescita più lenta. C’è una notevole incertezza su quanto grandi saranno questi effetti e per quanto tempo dureranno. Più a lungo durerà la guerra, maggiori saranno i costi» (fonte Il Sole 24 Ore Radiocor Plus).
Come dobbiamo interpretare questa nuova e aggiornata dichiarazione? Al pari di un monito oppure a un’anticipata realtà dei prossimi fatti che ci troveremo a commentare? Al momento attendiamo quanto il carovita italiano ci dirà: è questione di poche ore.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI