L’inflazione a ottobre, comunicata ieri dall’Istat, ha fatto segnare il valore più alto dal 2012 con un incremento rispetto a ottobre del 2020 del 3,0%. Il numero, come spesso accade, racconta solo una parte della realtà perché è la media di incrementi superiori o vicini alla doppia cifra, come elettricità o trasporti, e altri che sono negativi come “istruzione” o “comunicazioni” che potrebbero essere considerate voci di spesa più discrezionali. Il dato deve essere contestualizzato perché la fiammata dei prezzi di molti beni è recente e in molti casi non si è ancora tradotta in un aumento dei prezzi al consumo.
L’inflazione dei “prodotti alimentari”, secondo il dato comunicato ieri, è ferma all’1,1%, eppure i prezzi di molti prodotti agricoli sono sensibilmente superiori a quelli di tre mesi fa; le quotazioni del grano sono del 40% più alte di un anno fa; i prezzi delle carne, anche in Italia, hanno subito incrementi a due cifre esattamente in linea con quanto emerso settimana scorsa nel dato dell’inflazione degli Stati Uniti. I prezzi del latte sono appena stati aggiornati con un incremento decisamente più alto dell’1% per riflettere l’incremento dei costi di produzione. I prezzi di alluminio e plastica per il packaging sono anch’essi decisamente più alti di un anno fa. La fotografia dell’Istat, inevitabilmente, deve essere integrata con uno sguardo agli andamenti dei prezzi alla produzione e all’accelerazione del fenomeno inflattivo degli ultimi mesi.
Il prezzo del gas in Europa (prendiamo a riferimento il TTF “a un mese”) a inizio ottobre aveva raggiunto 120 euro a MWh contro i 15 di un anno fa; il rintracciamento di ottobre con i prezzi tornati sotto i 70 è stato sufficiente perché il tema scomparisse dal dibattito. Negli ultimissimi giorni, complici le tensioni con la Russia, siamo tornati a 95. È un trend che porterà a ulteriori incrementi proprio alla vigilia della stagione invernale quando i consumi di elettricità e di gas salgono.
Il 3% comunicato ieri dall’Istat fotografa solo in parte l’incremento dei prezzi subito dalla classe media e non rileva l’accelerazione dei costi alla produzione delle ultime settimane che non è ancora stata incorporata nei prezzi al consumo.
Questa dinamica non può essere controbilanciata da tagli alle tasse o da sussidi che sono solo palliativi. Ogni fattore che concorre ad alzare strutturalmente i prezzi, dalla transizione energetica, costosissima, alla burocrazia imposta alle imprese, passando per la spesa pubblica passata indenne a una crisi bestiale e finanziata dalle Banche centrali, dovrebbe essere ponderato attentamente. I consumi risentono e risentiranno ancora di più dell’incremento del costo della vita a fronte di salari asfittici con la produttività delle imprese devastata dalla guerra commerciale, dai costi della transizione energetica oltre che da regole e controlli. Anche il Pil ha limiti oggettivi e fotografa solo in parte l’andamento dell’economia e il benessere della popolazione.
Questi temi non sono problemi “economici”, ma assolutamente politici. Il 3% comunicato ieri è rassicurante solo se osservato in superficie e senza approfondimenti.
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