A ottobre l’inflazione nell’Eurozona è salita al +4,1%, mentre nell’Ue è arrivata al +4,4%. L’Italia, con il suo +3%, si trova quindi sotto la media europea, mentre i Paesi dell’Est (Polonia, Lettonia, Lituania, Estonia, Ungheria e Romania) superano il +6% e la Germania si attesta al +4,6%. Il trend è pertanto quello di una crescita che, secondo Christine Lagarde, non intaccherà però l’obiettivo di medio termine del 2% della Bce.
Per questo dal suo punto di vista “è molto improbabile” che nel 2022 vi sarà un rialzo dei tassi. Mossa che è stata anche esclusa dal Presidente della Fed Jerome Powell nonostante l’indice dei prezzi negli Stati Uniti sia arrivato al +6,2%. Per Mario Deaglio, Professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, con l’uscita dalla pandemia «è cresciuto il bisogno di spostare merci in tutto il mondo e ci si sta accorgendo di quanto siano inadeguati infrastrutture e trasporti visto che non si sono fatti gli investimenti necessari.
Questa struttura era già sotto stress una decina di anni fa, ma per via dei postumi della Grande recessione nessuno si è preoccupato di correre ai ripari e ora ne subiamo le conseguenze. La questione tecnica sconfina nella politica se pensiamo a gasdotti e oleodotti».
L’Italia ha un’inflazione più bassa di altri Paesi europei, come se lo spiega?
Ritengo dipenda essenzialmente da due fattori. Il primo è che abbiamo una catena di distribuzione dei prodotti che, grazie anche a elementi che vengono considerati di debolezza (come la presenza di piccoli negozi di quartiere), è piuttosto flessibile e capace di assorbire, almeno in parte, gli aumenti dei prezzi. E lo sta già facendo. C’è da chiedersi fino a che punto sarà in grado di farlo.
E qual è invece il secondo fattore?
Sul fronte delle forniture energetiche possiamo contare su un minimo di diversificazione grazie a Libia e Algeria e non essere quindi totalmente dipendenti dal gas che arriva dall’Est Europa. Intendiamoci, se l’inverno sarà rigido non è che staremo benissimo, ma forse meno male degli altri. Su questo fronte c’è non poca incertezza e occorrono anche accordi politici internazionali per evitare brutte sorprese.
L’inflazione dell’Eurozona continua a crescere, ma secondo Christine Lagarde si modererà l’anno prossimo e nel medio termine resterà sotto il 2%. Andrà realmente così?
Nessuno può dirlo con certezza, anche perché i sistemi di misurazione dell’inflazione appaiono antiquati e potrebbero non riuscire a misurare pienamente l’andamento dei prezzi, il loro peso reale per le tasche dei cittadini. Basti pensare a tutti quelli legati alle nuove professioni digitali. Purtroppo non sembra esserci una modalità ottimale per perfezionare i panieri.
L’amministratore delegato di Deutsche Bank, Christian Sewing, ha però evidenziato la necessità che le Banche centrali prendano quanto prima contromisure, ovvero il rialzo dei tassi, rispetto a un’inflazione che sta salendo rapidamente.
Andrebbe intanto ricordato che a Deutsche Bank hanno superato un momento di grande difficoltà grazie anche all’aiuto benevolo della Bce e sono quindi forse gli ultimi che si dovrebbero lamentare. È ovvio però che i tassi troppo bassi sono un problema serio per le banche, perché non possono guadagnare dall’intermediazione del credito. A quel punto devono alzare le commissioni o tagliare i costi diminuendo sportelli e personale. Con le conseguenze che ciò comporta per i risparmiatori e i lavoratori.
Le parole di Sewing ricordano anche l’insofferenza tedesca per l’inflazione. Secondo lei, vedremo aumentare il pressing della Germania sulla Bce nei prossimi mesi per cambiare rotta rispetto alla politiche espansive?
Probabilmente sì, dipende anche dal tipo di accordo di governo che si troverà a Berlino e dalle leve che avranno in mano i liberali di Fdp, per i quali il problema inflazione è tra le priorità. La Merkel metteva d’accordo tutti, con risultati di stabilità o anche di immobilità, ma non si intravvede qualcun altro con la stessa capacità mediatoria nel panorama politico tedesco.
(Lorenzo Torrisi)
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