L’impennata dell’inflazione con potenziale destabilizzante in America ed Europa deriva dalla scarsità di materie prime ed energetiche e dal conseguente aumento dei prezzi che poi si diffonde a tutto il mercato. C’è anche un problema di scarsità assoluta, per esempio i chip per l’elettronica delle auto, che porta al blocco delle attività produttive in parecchi settori.
Il mondo degli analisti macro e micro è in subbuglio per capire le cause di un’anomalia che ha preso di sorpresa attori di mercato, governi e Banche centrali e riportarle agli scenari 2022-23. Nella varietà di ricerche, chi scrive ha isolato una tendenza che appare più probabile. Il disallineamento tra domanda e offerta per le forniture delle attività produttive dovrebbe riequilibrarsi entro i primi mesi del 2022, migliorando nel frattempo. Ma tale “caso migliore” non implica una correlata riduzione dei prezzi per l’interesse dei produttori a tenerli alti il più possibile. Tuttavia, questo comportamento potrebbe creare una recessione, impattando sui produttori stessi. Ciò dovrebbe convincerli a tenere atteggiamenti equilibrati.
Lo stesso può dirsi per i produttori di energia fossile che non riuscirà a essere sostituita da quelle alternative per 10-15 anni. Ma in questo settore il riequilibrio sarà raggiunto con prezzi più elevati di quelli previsti dagli obiettivi di inflazione delle Banche centrali. Queste, però, ritengono più grave il rischio di alzare i tassi per raffreddare economie ancora in ripresa: comunicano che il picco di inflazione sarà temporaneo, ma senza dire in modi convincenti a che livello si assesterà.
In conclusione, la ripresa 2022 non sembra a rischio, ma il suo consolidamento nel 2023 è, al momento, incerto.
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