Ci siamo, purtroppo ci siamo. L’inflazione è in potente ascesa in diversi settori e prima o poi risulterà anche negli indicatori principali. Non mi riferisco quindi al solo dato dell’inflazione, quello secondo il quale in Italia saremmo a un “normale” +2,5% (dato di settembre). Un dato che comunque non è normale, dopo anni nei quali la Bce ha fatto di tutto per farlo salire, per dare un (falso) segnale di una ripresa (mai avvenuta). Il criterio era semplice: quando l’economia tira questo si vede anche dall’inflazione che sale. Ma tutto questo accade in tempi normali, non può essere ritenuto un criterio valido in tempi di continua droga monetaria. Soprattutto il criterio non può essere rovesciato: una sana inflazione viene dopo la crescita economica, come una possibile conseguenza; ma un’inflazione che si verifica senza crescita economica è un segnale davvero molto brutto per l’economia.
In questi tempi, la droga monetaria non ha portato inflazione solo perché, temporaneamente, la liquidità in eccesso è finita nei mercati finanziari e non nell’economia reale, vanificando così tutti gli sforzi delle banche centrali. Ma l’inceppamento del meccanismo che porta la scarsa liquidità nell’economia reale prima o poi doveva succedere ed è successo: la pandemia ha provocato questo inceppamento e nessuno ha fatto nulla per impedirlo, prevedendone i lauti guadagni.
Ora a conferma di questo ragionamento abbiamo i dati ufficiali: mentre l’economia reale collassava, le grandi compagnie hanno macinato profitti e i mercati finanziari sono saliti a livelli record. Ma il collasso della filiera produttiva ha portato al collasso dei trasporti, che ora per riprendersi a livello globale hanno assunto costi proibitivi. L’indice di riferimento è il World Container Index, che è passato dai 1.800 dollari del febbraio 2020 agli attuali 10.000 dollari, un aumento di oltre il 500%. A questi prezzi non si ha soltanto un influsso sul prezzo del prodotto trasportato, ma anche una mancanza del prodotto stesso perché con questi costi non conviene proprio trasportare certi prodotti.
Questi costi hanno ovviamente innescato un aumento del prezzo del petrolio (anche quello dev’essere trasportato dai giacimenti alle raffinerie) e dato vita a un circolo vizioso infernale perché le stesse petroliere non solo trasportano petrolio, ma per viaggiare consumano un derivato del petrolio.
E di fronte a questa tempesta in arrivo, cos’hanno fatto i governi, le banche centrali e le altre istituzioni interessate? Esatto, proprio niente. In particolare le banche centrali si sono distinte perché i loro personaggi più rappresentativi hanno diffuso menzogne, spargendo ottimismo per la ripresa in arrivo e l’inflazione in crescita (ma dopo il collasso del Pil), mentendo in particolare fino a oggi sull’inflazione definendola “temporanea”.
Solo recentemente hanno cambiato linguaggio e hanno iniziato a usare il termine “persistente” riferito all’inflazione (sempre “temporanea” però). E siccome la menzogna sembra divenuta lo sport principale delle istituzioni e dei media asserviti, ecco arrivare le prime avvisaglie di un brutale raffreddamento della temperatura mondiale, cosa che contribuirà ad alzare ulteriormente il prezzo del gas naturale, già in rialzo per i fenomeni descritti, per le tensioni internazionali (vedi rapporti con la Russia) e per il consumo di gas molto sostenuto a livello mondiale a causa di un inverno passato molto rigido.
A lasciar intendere che potremmo avere un inverno rigido (a causa della minore intensità dell’irradiamento solare che va avanti da alcuni anni) c’è il freddo record che ha colpito il Polo Sud. Come noto, in Antartide i mesi invernali sono appena terminati e la temperatura media è stata di -61 gradi, nuovo record negativo da quando si misurano le temperature, cioè dal 1957. Altro che riscaldamento globale! Qui si prospettano temperature in calo mentre il prezzo del gas naturale sale alle stelle, una combinazione davvero esplosiva.
E come una ciliegina sulla torta del caos preparato, ora arriva l’obbligo del Green Pass e i prevedibili disordini conseguenti, non solo dovuti a chi lo rifiuta e protesta, ma anche a chi non si piega e gli viene impedito di andare a lavorare. Fin troppo facile prevedere disordini sociali e un Governo che di conseguenza darà la colpa ai non vaccinati, come se l’obbligo del Green Pass per poter lavorare (unico in tutto il mondo, se si escludono Paesi come il Turkmenistan e il Tagikistan dove è obbligatorio il vaccino) potesse essere digerito senza alcuna rimostranza da un popolo italiano da sempre ribelle alle imposizioni.
Insomma, un copione fin troppo prevedibile, per non pensare che sia precisamente voluto e preparato. Non ho la palla di vetro e non sono un indovino; considero solo che c’è il pericolo che scoppi il caos e che nessuno sta facendo qualcosa per evitarlo. Non mi resta che ripetere quanto accennato in passato: fate abbondanti scorte di generi alimentari non deperibili. Se non saranno servite, festeggeremo insieme.
Mi tornano alla mente le parole del filosofo Giorgio Agamben, lette in un suo messaggio ai manifestanti No Green Pass a San Giovanni a Roma il 25 settembre scorso: “In queste condizioni, senza deporre ogni possibile strumento di resistenza immediata, occorre che i dissidenti pensino a creare qualcosa come una società nella società, una comunità degli amici e dei vicini dentro la società dell’inimicizia e della distanza. Le forme di questa nuova clandestinità, che dovrà rendersi il più possibile autonoma dalle istituzioni, andranno di volta in volta meditate e sperimentate, ma solo esse potranno garantire l’umana sopravvivenza in un mondo che si è votato a una più o meno consapevole autodistruzione”.
Somigliano tanto alle parole (profetiche, scritte nel 1980) di Alasdair MacIntyre: “Ciò che conta, in questa fase, è la costruzione di forme locali di comunità al cui interno la civiltà e la vita morale e intellettuale possano essere conservate attraverso i nuovi secoli oscuri che già incombono su di noi. E se la tradizione delle virtù è stata in grado di sopravvivere agli orrori dell’ultima età oscura, non siamo del tutto privi di fondamenti per la speranza. Questa volta però i barbari non aspettano al di là delle frontiere: ci hanno già governato per parecchio tempo. Ed è la nostra inconsapevolezza di questo fatto a costituire parte delle nostre difficoltà. Stiamo aspettando: non Godot, ma un altro San Benedetto, senza dubbio molto diverso”.
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