Parlare di economia in Turchia, scrive Le Monde, è un po’ come salire su un ring per affrontare un pugile mascherato che non esita a colpire utilizzando tutti i colpi bassi possibili. L’ennesima conferma è arrivata giovedì quando, in risposta all’aumento dell’inflazione, l’88% in più da gennaio per le statistiche ufficiali (almeno il 185% in più secondo istituti indipendenti), la banca centrale ha abbassato i tassi di altri 150 punti base, al 9%.



Sì, al contrario di quanto fanno gli altri banchieri centrali, il Governatore della banca di Ankara (il terzo ad occupare il posto in meno di due anni) abbassa i tassi quando sale la leva dei prezzi in base al principio predicato da Erdogan che i tassi alti provocano inflazione. Un po’ come sostenere che la terra è piatta, ovvero come ha sostenuto il ministro delle Finanze Nureddin Nebati, stretto collaboratore del Presidente, “un gesto di rottura epistemologica com il pensiero neoclassico che apre nuovi orizzonti per le scienze comportamentali e neuro-economiche”.



In attesa di capirci qualcosa, però, cerchiamo di venir a capo di un enigma: com’è possibile che in Turchia esploda l’inflazione, precipiti il valore della lira e si moltiplichino i segnali di impoverimento della popolazione, ma, allo stesso tempo, il Prodotto interno lordo schizzi sù del 7,6%, una delle migliori performance mondiali, e la produzione industriale salga a doppia cifra? Un paradosso ancor più sorprendente se si guarda all’andamento del mercato azionario: l’indice MSCI Turkey è in crescita del 62% in dollari da inizio anno. Insomma, a prima vista sembra che il sultano di Istanbul abbia scoperto una formula magica. Ma si tratta della scoperta dell’acqua calda.



La ricetta Erdogan consiste in un pacchetto di misure che prevedono: l’obbligo per gli esportatori di girare il 40% degli incassi in valuta alla banca centrale; il risparmio privato, intanto, viene convogliato su depositi in lire a tassi di interesse esorbitanti; a sostegno della valuta, poi, giocano gli aiuti dei Paesi del Golfo e, non meno importanti, i prestiti della Russia, la vera carta diplomatica di Erdogan che si è proposto con successo come il più influente canale diplomatico tra Mosca e l’Ucraina, specie sul fronte dell’export dei cereali.

In termini economici, Erdogan ha così messo in moto un sistema concentrato esclusivamente sulla crescita, senza tenere in minimo conto l’inflazione. A tutto vantaggio dei piccoli imprenditori, che non operano nell’export, delle banche che lucrano sui depositi (un terzo della crescita del Pil si deve alla finanza) e della speculazione immobiliare. Nonché del turismo che attrae i russi, respinti dall’Occidente e viaggiatori allettati dai prezzi in caduta libera causa la svalutazione. Ma a danno delle imprese che operano sui mercati, costrette a versare una parte delle entrate al Tesoro e, soprattutto, della popolazione alle prese con l’aumento del costo della vita che ha colpito duramente la popolazione.

Si spiega così anche il rialzo della Borsa: il motore principale della performance del mercato quest’anno è stata l’elevata inflazione interna. Con i tassi di interesse così negativi e i rendimenti governativi poco attraenti, gli investitori locali sono stati costretti a entrare nel mercato per cercare di proteggere i propri risparmi dall’inflazione dilagante. Ma i più hanno ben pochi risparmi da proteggere. La scommessa sul rientro dall’inflazione garantito dalla crescita si sta rivelando una trappola mortale, complice il deficit delle partite correnti e l’indebolimento della lira, fatale per un Paese importatore netto di petrolio e gas. Anche perché con l’arrivo dell’inverno diminuiranno le entrate del turismo e aumenteranno i costi dell’energia. Una brutta miscela in vista di un anno elettorale. O, peggio, in vista delle minacce di Erdogan di distruggere le enclave curde che hanno retto allo Stato islamico.

Anche questo pericolo si nasconde dietro una politica economica eccentrica perché, come scrive Craig Erlam di Oanda, la politica economica di Erdogan è come la guida di un’auto in retromarcia senza guardare lo specchietto retrovisore.

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