Ottime notizie dall’inflazione americana: secondo gli ultimi dati, siamo arrivati al 3%, cioè in valore ormai prossimo al fatidico 2%, obiettivo dichiarato sia della Fed che della Bce (ovviamente per quest’ultima il riferimento è l’area Euro).

Va tutto bene? Mica tanto. L’inflazione “core”, cioè quella calcolata sui dati depurati dalle componenti “food” (cibo) ed “energy” è ancora al 4,8%. Questa viene calcolata perché tali componenti sono quelle più volatili, quelle che cambiano in maniera più rapida e quindi più sensibili agli ultimi sviluppi. Ecco, senza questi elementi, che avevano spinto in alto l’inflazione e ora la stanno abbassando, l’inflazione rimane ancora alta.



I mercati hanno reagito molto bene, con forti rialzi, dopo questa notizia. Ma saranno forse troppo ottimisti? La Fed ha annunciato un prossimo rialzo del 0,25%, già scontato dal mercato, il quale ora forse inizia a sperare che il rialzo dei tassi sia finito qui e si inizi a parlare di taglio, per tornare all’espansione di un’economia che rimane in sofferenza grave.



Purtroppo questi due settori (generi alimentari ed energia) sono quelli che rimangono ancora in crisi reale, in crisi produttiva, in crisi per serie difficoltà nella distribuzione. Una crisi fortemente determinata dalle guerre in corso e dai blocchi commerciali dovute alle sanzioni. D’accordo, tutti sanno che queste vengono di fatto aggirate (eh sì, il petrolio russo continua ad arrivare in Europa, via India o via altre strade contorte), ma sono situazioni temporanee, che posso cambiare da un momento all’altro, come già accaduto nel passato.

In effetti, il calo dei prezzi del settore energetico è dovuto proprio al fatto che il petrolio russo continua a essere venduto, soprattutto in Asia, che ha sempre meno bisogno del petrolio arabo e quindi di riflesso grazie a quello russo sta calando il prezzo del greggio in tutto il mondo. Ma come detto la situazione è instabile e il recente rialzo del prezzo del petrolio nell’ultima settimana ne è una prova.



Ma a parte la questione dell’inflazione americana, per il resto va tutto male come previsto: la Germania è in recessione, l’Europa tutta vi sta entrando, la produzione industriale italiana è in calo del 7,4%. Certo, la previsioni per il 2023 sono di un Pil in crescita dell’1,3% (quasi un record in Europa e questo la dice lunga, no?), ma quanto dipenderà da un’inflazione prevista al 6,6%? E con un debito che ormai ha raggiunto e superato la cifra mostruosa di duemilaottocento miliardi, come potrà mai crescere l’economia? Con quali soldi si faranno gli investimenti? Con nuovo debito?

A proposito di debito, c’è un grande affanno nel portare avanti il Pnrr (c’è affanno per forza, visto che pure questo Governo ci si sta giocando la faccia), ma gli effetti ancora non si vedono. E pure quello è nuovo debito.

Una cosa è certa: è uscito il dato dell’inflazione americana e l’oro ha interrotto il trend ribassista, mentre il dollaro è in calo contro tutte le monete da almeno un paio di settimane. Qualcosa vorrà dire, no?

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