In questo intervento si ipotizza che il tasso annuo tendenziale, ad agosto 2021, del valore dell’inflazione al consumo generale negli Stati Uniti sarà pari al 5,7-5,8%. Al momento della redazione di questo intervento non si hanno dati precisi del consensus di Wall Street e delle congetture della Fed, però dopo l’intervento del presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, al meeting di Jackson Hole, si ricava un atteggiamento attendista abbastanza fiducioso.



Date le premesse e dato che in ultima analisi, in questo momento, Wall Street forma le proprie aspettative sulle indicazioni della Fed (grande fiducia alla Banca centrale), si può ragionevolmente affermare che c’è un’attesa abbastanza condivisa per un valore intorno al 5-5,2% tendenziale annuo.

In questo articolo – va ribadito – si crede, invece, a un tasso tendenziale che sarà pari al 5,7-5,8%, e si cercherà dunque di chiarire i motivi di tali divergenze nelle stime.



Innanzitutto, la premessa formale è che il consensus Wall Street-Fed ha il valore del 5-5,2% come valore centrale, dove però gli estremi di tale ultimo valore sono dati dal 4,8% inferiore e dal 5,6-5,7% superiore (in termini statistici i valori agli estremi di questo intervallo sono dati dal numero inferiore di operatori borsistici e membri Fed, rispetto alla numerosità di quelli che apprezzano i valori centrali del 5-5,2%).

In definitiva, però, altra componente strutturale da rimarcare, è che sia l’intervallo completo del consensus Wall Street-Fed, sia la stima espressa in questa sede appartengono a valori di inflazione leggeri e non transitori, con valori che vanno dal 4,8% al 5,8% come range complessivo massimo. Agli effetti pratici e operativi, insomma, si parla di un’intensità del fenomeno di un certo tipo comunque esso si verifichi nei numeri effettivi.



Le differenze nelle varie stime hanno a che fare quindi, al momento, soprattutto con incisi qualitativi differenti, del tipo di come si stanno muovendo le componenti che danno origine a inflazione.

In sostanza, qui si ipotizza che al momento la componente aspettative degli operatori e soprattutto della generalità delle Pmi statunitensi stia diventando sempre più fibrillante, dati gli scenari incerti e densi di problematiche (ad esempio, la variante Delta). Si aggiunga poi che il prezzo del barile di petrolio Wti a 69 dollari circa (dato del 27 agosto 2021) è troppo alto (troppo alto vuol dire che comunque alimenta inflazione). Da questo punto di vista per tornare a valori intorno al 3% il barile Wti deve prezzarsi stabilmente sotto i 65 dollari al barile perlomeno per 3 o 4 mesi; poi, qualora dovesse giungere intorno ai 60 dollari al barile, l’inflazione rientrerebbe sotto i valori del 2 % annuo.

Invece, per quanto riguarda il mercato del lavoro e il dato dell’occupazione inseguito dalle colombe Fed e dal suo presidente Powell, si è giunti qui alla conclusione che sia diventata un po’ una scusa per andare a tappare altri problemi. In buona sostanza, l’occupazione si riprenderà solo, e solo se, la ripresa economica sarà profonda, duratura e robusta, mentre quel che si poteva fare con politiche monetarie iper-accomodanti è stato fatto. Non c’è un oltre, si andrebbe al di là delle possibilità dei risultati della sola azione di politica monetaria. Ora, per avere incrementi occupazionali quantitativi e qualitativi, servono politiche fiscali, industriali, sanitarie, valutarie, condizioni geo-strategiche ottimali, comportamento accorto e responsabile dell’Opec, tutte cose queste che non sono in nessun caso gestibili dalla Fed.

E allora torna la domanda: perché continuare ancora con gli stimoli straordinari da 120 miliardi di dollari al mese, mettendo davanti il mantra un po’ stantio della piena ripresa occupazionale ante-Covid?

A mio avviso, la risposta è una e immediata: i corsi azionari di Wall Street vanno ancora sostenuti, pena lo spettro del 2007-2008 (crisi mutui sub-prime) e l’ancora più grave spettro del 1929; si sono accettate, d’altra parte, tante manifestazioni di finanza distorta, come la crescita speculativa e senza senso alcuno delle criptovalute: si presti attenzione al fatto che hanno iniziato a macinare record di quotazioni in contemporanea con la comparsa degli stimoli monetari di Fed e Bce.

Va però anche detto che tutta la massa monetaria enorme che la Fed ha messo in circolazione a causa della pandemia – si parla nei numeri attuali di un bilancio di base monetaria pari a circa 7mila miliardi di dollari, a fronte di un bilancio Fed ante-crisi di circa 2.000-2.500 miliardi di dollari – è arrivata in qualche modo nell’economia reale statunitense.

Il meccanismo descritto in modo qualitativo è il seguente: le banche americane che hanno avuto la possibilità di sostituire titoli del debito pubblico e titoli obbligazionari oramai spazzatura con la liquidità a costo zero della Fed, non solo hanno messo in campo la manovra speculativa attesa dalla Fed, e cioè sostenere e anche più i corsi azionari di Wall Street, ma parte di quella liquidità l’hanno riversata nell’economia reale, concedendo in tal modo un grande ammontare di prestiti a tassi d’interesse veramente bassi alle Pmi, le quali a loro volta, con molta liquidità ottenuta a poco costo, hanno potuto finora contenere lo straordinario aumento di tante materie prime e di tanti fattori dell’offerta.

Ma fino a quando può durare questo impianto falsato nei fondamentali? Per inciso, la crisi del 1929 è stata letta dalla Fed in chiave marcatamente keynesiana: giù soldi a valanga finché non ci si riprende, evitando al tempo stesso crisi sociali, economiche e personali.

Qualcosa, molto fino al punto attuale, è innegabile che abbia funzionato, solo che si è giunti al punto che in altre parti del sistema economico si sono oggi sommate e aggregate troppe tossine, che vanno ora espulse.

Questo è il motivo di una inflazione incipiente e pronta a destarsi in forme pericolose, se non viene bloccata più o meno rapidamente. Qui non si è più d’accordo a spada tratta con le esternazioni del presidente della Fed, che parla di fenomeni transitori inflattivi dovuti a una moltitudine di strozzature lungo la supply chain complessiva e sul mercato del lavoro non ancora ben tonico. Rispetto a 8-9 mesi fa le condizioni sono già profondamente cambiate: il mercato del lavoro, pur con le sue dinamiche, ha iniziato a svegliarsi, e per corollario c’è una spinta sulle materie prime e sui fattori dell’offerta che è divenuta più sistematica, sebbene meno tracimante e drammatica nell’incremento dei numeri.

A riprova di tutto questo, il messaggio mediatico dei falchi del Fomc della Fed è arrivato allo scopo: far vedere in modo plastico che ormai la Federal Reserve è spaccata a metà tra falchi e colombe, e che il ruolo più importante del suo presidente è al momento quello di mediatore e di pontiere.