Questa settimana sia il Presidente della Fed di Chicago, Evans, che quello di St Louis, Bullard, hanno prospettato un’accelerazione del percorso di rialzo dei tassi. Il mercato comincia a scontare un rialzo dei tassi della Bce nonostante il tono delle dichiarazioni di Christine Lagarde rimanga molto accomodante. La Bce, per inciso, è stata una delle ultime istituzioni monetarie a ritrattare la narrazione della temporaneità dell’inflazione. Il percorso di rialzo dei tassi avviene proprio quando vengono tagliate le stime di crescita. Ieri la Bundesbank, nell’ultimo bollettino mensile, ha dichiarato che un embargo sull’import di gas russo potrebbe costare 180 miliardi di euro alla Germania e ridurre il Pil del 5% nel 2022. Le previsioni della banca centrale tedesca sono più pessimistiche di quelle della politica europea e più in linea con quelle arrivate dal settore industriale tedesco.
In questa fase di rallentamento non ci si aspetterebbe una discussione su un’accelerazione del rialzo dei tassi. Le banche centrali, però, sono rimaste indietro e oggi “devono” agire di fronte a un’inflazione ai massimi degli ultimi 40 anni. La questione a questo punto è se si possano ancora applicare gli schemi con cui siamo stati abituati a ragione negli ultimi decenni. L’inflazione che si sta prospettando non è solo un fenomeno monetario o un effetto indesiderato di un’eccessiva esuberanza finanziaria. L’inflazione che viene dal blocco delle consegne di gas e di petrolio o dalla rottura delle catene di fornitura globale arriva dalla mancanza fisica di risorse e componenti.
Il rialzo dei tassi sicuramente può “risolvere” l’eccesso di liquidità che ancora oggi rimane sui mercati finanziari, anche se in ritirata, ma non risolve problemi che sono assolutamente “fisici”. L’amministratore delegato di ASML, uno dei leader globali nella produzione di chip, due giorni fa ha dichiarato che ci sono società che comprano lavatrici solo per tirare fuori i chip e riutilizzarli. Questo aneddoto dà la dimensione di quale sia lo squilibrio tra domanda e offerta in questa fase; la fine della globalizzazione è un processo lungo che non si risolve in un ciclo di rialzo dei tassi. Questo è talmente vero che si parla apertamente di razionamenti ammettendo la necessità di strumenti che eccedono quelli conosciuti e attuabili dalle banche centrali.
Il rischio è che il rialzo dei tassi possa poco contro un’inflazione di queste dimensioni e di questa natura e che si paghi con un ulteriore rallentamento dell’economia oltre a quello prospettato appena qualche giorno fa dal Fondo monetario internazionale. Il crollo delle immatricolazioni auto in Europa, ben prima di qualsiasi rialzo dei tassi, segnala già un cambiamento nella propensione al consumo delle famiglie che decidono di posticipare autonomamente gli acquisti sia per il rincaro dei prezzi, sia per i timori sul ciclo economico.
Il dubbio è quello di avere oltre un’inflazione in doppia cifra, contro cui i rialzi possono poco, un peggioramento del rallentamento economico. Lo scenario attuale non ha paragoni dalla fine delle Seconda guerra mondiale; è opportuno farsi delle domande che normalmente non si farebbero. L’inflazione, in uno schema che non prevede la pace o il ritorno allo stato precedente alla guerra, si risolve rimpatriando la produzione e creando le condizioni per una reindustrializzazione dell’Occidente. La prima condizione è la disponibilità di energia economica e prevedibile. Senza questo tutto rischia di essere un palliativo e un ulteriore elemento di volatilità e incertezza.
La domanda è quanta economia e domanda si debba distruggere per far rientrare l’inflazione dentro livelli “conosciuti”. Nello scenario attuale di guerra economica e commerciale, di rottura delle catene di fornitura globale e di “transizione energetica” la distruzione di domanda necessaria per far rientrare l’inflazione probabilmente è colossale e destabilizzante politicamente e socialmente. Il rischio è che la medicina faccia più male della malattia. In economia due più due non fa sempre quattro. La distruzione delle imprese via rallentamento economico rischia di peggiorare la disponibilità di beni e in seconda battuta anche l’inflazione.
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