Il caro-energia e l’aumento dei costi delle materie prime potrebbero non risparmiare neppure un rito che gli italiani considerano irrinunciabile: il caffè al bar. La moneta da un euro potrebbe infatti non bastare più per godersi l’appuntamento con l’espresso. I primi segnali della tendenza in realtà si sono già visti: in molti locali – segnala Assoutenti – il prezzo della “tazzulella” è già arrivato a 1,10 euro, facendo quindi segnare un aumento del 10%. Ma potrebbe raggiungere il record di 1,50 euro nel corso dell’anno, arrivando a incassare dunque un incremento del 37,6% sul 2021. 



Una prospettiva purtroppo concreta, visto che di aumenti di listino parla anche Fipe-Confcommercio, la federazione italiana pubblici esercizi che rappresenta una parte importante del canale dei consumi fuori casa. “Il nostro comparto si occupa di fornire un servizio al pubblico – dice il Vice Presidente Vicario Aldo Cursano -. Acquistiamo le materie prime e le lavoriamo in contesti adeguati con la professionalità e le competenze necessarie. È del tutto evidente che per portare a termine questo processo ci sono costi da affrontare, la cui somma non può non incidere sul prezzo finale del servizio”.



E nel caso dell’espresso la lista di questi costi è piuttosto lunga. “Se proviamo a fare riferimento alla tazza di caffè, che negli ultimi tempi è al centro di discussioni e polemiche – afferma Cursano -, è scorretto considerare solo i 7 grammi di polvere che utilizziamo per ogni tazzina. Le voci di costo che contribuiscono a determinare il prezzo finale sono almeno 20, dall’affitto dei locali all’energia necessaria per il funzionamento dei macchinari, senza contare tutte le imposte da pagare. Occorre, dunque, considerare una miriade di componenti, se si vuole stabilire un prezzo equilibrato per l’espresso”. 



Il punto è però che parecchie di queste componenti sono oggi al centro di incrementi di listino, che mettono in buona sostanza i gestori spalle al muro. “Se molti dei costi che deve affrontare un esercente subiscono un rincaro, come è possibile che questo non si ripercuota sul listino finale?” si chiede Cursano, che continua: “Fino a oggi l’Italia è rimasta uno dei Paesi in cui la tazza di caffè veniva ancora venduta sottocosto, per non gravare su quello che è considerato un vero e proprio rito identitario e rappresentativo dell’Italianità. Eppure, di fronte alla situazione che stiamo vivendo e all’aumento esponenziale dei costi di energia e materie prime, alcuni di noi potrebbero essere costretti a ritoccare i prezzi. Si tratta di una legittima difesa per gli imprenditori che provano in ogni modo a tenere in vita le proprie aziende già martoriate da due anni di enormi difficoltà legate alla pandemia”.

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