Tre anni di shock memorabili – pandemia, esplosione del costo di materie prime e beni energetici, guerra in Ucraina – hanno generato forti tensioni in tutto il sistema economico e penalizzato gravemente l’efficienza delle supply chain globali. Ne sono derivati extracosti che hanno investito il mondo delle imprese. Inevitabilmente sono stati trasferiti a valle, con modalità e tempistiche differenti da settore a settore, contribuendo a generare inflazione al consumo. I primi segnali di crescita dei prezzi sono stati rilevati nei primi mesi del 2021, ma la Banca centrale europea è intervenuta con i primi rialzi dei tassi solo un anno dopo, quindi in ritardo rispetto alle dinamiche che si erano innescate. Oggi diversi economisti si chiedono se la tardiva reazione della Bce, a colpi di ripetuti aumenti dei tassi, non stia penalizzando eccessivamente imprese e famiglie, provocando la frenata dello sviluppo e l’impoverimento economico.



Il contrasto dell’inflazione passa anche dalla concorrenza. In Italia i settori dove è poco presente – concessioni, servizi, in generale i settori che godono di evidenti ed anacronistiche rendite di posizione – hanno cavalcato l’inflazione per generare extraprofitti. Ben diverso è stato il vissuto delle aziende che operano in comparti dove la concorrenza si esprime pienamente. Nel caso del largo consumo l’escalation dei costi di materie prime ed energia registrata a partire dal 2021 ha determinato extracosti che le industrie stanno ancora scaricando a valle. Nel contesto attuale di indebolimento dell’economia, crescita fragile, rallentamento di investimenti ed export, assorbirli nei conti economici significherebbe in molti casi minare la sopravvivenza delle aziende. I bilanci documentano riduzioni dei margini, a conferma del fatto che, consapevoli della debolezza del potere d’acquisto delle famiglie, le industrie del largo consumo hanno fatto quanto era in loro potere – insieme ai loro partner commerciali – per trasferire con gradualità a valle gli extracosti, incamerando contrazioni significative dei profitti.



Nell’alimentare, per esempio, i margini per unità di prodotto hanno registrato una riduzione del 41,6%. L’Osservatorio Congiunturale Centromarca – Ref Ricerche evidenzia che lo scorso anno il 43,5% dei manager delle aziende alimentari e non food ha riscontrato profitti in diminuzione e il 6,2% ha prodotto in perdita.

L’inflazione registrata nel primo semestre 2023 è dunque riconducibile anche al fatto che le forti tensioni registrate lo scorso anno non sono state ancora totalmente scaricate a valle. È importante sottolineare che il quadro inflativo avrebbe potuto essere più pesante se le industrie del largo consumo non avessero reagito alle difficoltà rivedendo strategie, diversificando le fonti di approvvigionamento, migliorando l’efficienza e l’efficacia dei processi. È degno di nota il fatto che nel 2022 su 152 euro mensili di maggiori spese determinate dall’inflazione (rispetto all’anno precedente) 35 euro erano riconducibili al carrello della spesa, ma il peso maggiore sulle famiglie – ben 95 euro al mese – è derivato dai rincari delle utenze domestiche.



Al momento l’inflazione sta dando segni di rallentamento. A giugno, secondo le stime preliminari dell’Istat, l’indice nazionale dei prezzi al consumo ha registrato una variazione nulla su base mensile e un aumento del 6,4% su base annua, da +7,6% del mese di maggio. Il rallentamento continua a essere fortemente influenzato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici (che rivelano un’inflazione superiore al 10% in cinque nazioni, tra cui l’Italia). I prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona rallentano in termini tendenziali (da +11,2% a +10,7%). Per contro l’Istat registra rialzi negli alimentari non lavorati (da +8,8% a +9,6%).

Vedremo se la tendenza al raffreddamento sarà confermata. Al momento è difficile fare previsioni se si considera l’instabilità che caratterizza il contesto geopolitico ed economico. Gli economisti di Prometeia, peraltro, in un report redatto per Centromarca, indicano che nonostante il rallentamento dai picchi del 2022, i prezzi dell’energia rimarranno comunque permanentemente più alti rispetto al passato (come del resto quelli di molti beni) e resterà elevata la volatilità.

In parallelo, per effetto delle scelte di politica monetaria della Bce (400 punti base di rialzo dei tassi da luglio 2022) l’accesso al credito delle imprese sta diventando sempre più oneroso, e insieme alla crescita costante del costo di prestiti e mutui toglie alle famiglie ulteriori risorse che potrebbero essere destinate ai consumi.  Ad aprile l’indice di produzione industriale ha registrato il quarto calo consecutivo che attesta il dato a un meno 7,2% annuo. All’orizzonte si profila un rischio di recessione, cui tutti gli operatori economici non possono che guardare con grande preoccupazione.

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