La discesa del prezzo del gas dai picchi della scorsa estate è certamente positiva per famiglie e imprese alle prese con bollette esplose nell’ultimo anno. Per la distribuzione moderna, tuttavia, la situazione resta difficile.
E, come ci spiega Giorgio Santambrogio, amministratore delegato del Gruppo VéGé, che abbiamo raggiunto telefonicamente a Porto, dove si trovava per partecipare al Comitato internazionale della supercentrale d’acquisto europea IFA, le cose non vanno molto meglio fuori dall’Italia.
Qual è la situazione del settore retail in Europa rispetto a quella italiana?
Di fatto le problematiche per le aziende del settore italiano sono identiche a quelle delle aziende europee. Tutte stanno registrando un aumento delle vendite a valore, dove chi è più bravo riesce a realizzare un +3-4% su base annua, e c’è persino chi arriva a un +10%, ma a livello di volumi gli incrementi sono minimi se non nulli. Questo significa che la crescita delle vendite è determinato sostanzialmente dall’inflazione. È vista anche come qualcosa di più che una semplice boccata d’ossigeno la diminuzione, seppur temporanea, del prezzo del gas che determina direttamente o indirettamente un calo delle bollette.
I costi energetici incidono più in Italia che in altri Paesi?
Sì, non bisogna dimenticare, per esempio, che in Spagna e Portogallo è stato messo un tetto al prezzo del gas utilizzato per la produzione di elettricità. Si spera che a livello europeo o quanto meno in Italia si possa arrivare a una misura analoga. Un’altra problematica rilevata, specialmente nei Paesi del Sud, è il timore che per diverse concause, legate comunque ai costi energetici, vi possa essere mancanza di materie accessorie alla creazione di prodotti, come vetro o banda stagnata. Se questo timore si concretizzasse si potrebbe arrivare a una situazione di offerta inferiore alla domanda per alcune categorie di beni a scaffale.
L’inflazione è comunque il problema che accomuna i vari Paesi.
Sì, si tratta di rialzi dei prezzi che non si registravano da decenni. C’è però chi, come nel caso del Belgio, deve per legge aumentare il reddito in base all’inflazione. Ecco perché va vista positivamente la volontà, espressa nelle dichiarazioni programmatiche di Giorgia Meloni, del Governo di procedere a un taglio del cuneo fiscale, così da far respirare le imprese e lasciare anche più soldi ai lavoratori in busta paga così da non penalizzare i consumi.
La Premier ha detto che l’obiettivo “è intervenire gradualmente per arrivare a un taglio di almeno cinque punti del cuneo”. È sufficiente?
Si sta parlando da tanto tempo di un’operazione per ridurre il cuneo fiscale, ma non si è mosso mai nulla, quindi sarebbe già un buon inizio. Ovviamente, prima si riesce a concretizzare questo taglio, meglio è, perché le piccole imprese che non riescono a far fronte agli alti costi operativi falliscono a settimane.
Meloni ha espresso anche la volontà di allargare la platea dei beni primari che godono dell’Iva ridotta. Anche questo potrebbe essere un aiuto?
Bisogna scegliere bene le categorie di beni da far rientrare in questa operazione, anche per evitare manovre demagogiche. Basti pensare che, considerando i consumi pro-capite di pasta, anche azzerando l’Iva i consumatori ne avrebbero un beneficio pari a meno di 2 euro l’anno. Dunque, qualunque manovra che possa far diminuire l’Iva sui prodotti di base è ben accetta, anche perché, grazie all’inflazione, il gettito per lo Stato sta crescendo non poco, ma occorre farlo cum grano salis. L’ideale sarebbe che il Governo chiedesse a chi si occupa di retail, che ha in mano molti dati anche relativi ai consumi a livello territoriale, su quali categorie ha senso un’operazione di questo genere. Per esempio, sul pane potrebbe funzionare bene visti gli aumenti che ha subito.
C’è qualche altro intervento utile che il Governo potrebbe attuare?
Se si riuscisse ad aumentare il credito d’imposta al 40% per gli incrementi dei costi energetici sarebbe ideale, oltre a capitalizzare gli aumenti subiti nel 2022 in dieci anni. Era una richiesta già avanzata nei mesi scorsi quando i prezzi energetici erano più alti, ma sappiamo bene quanto siano volatili visto che l’inverno non è ancora iniziato. Un’altra cosa già chiesta al precedente Esecutivo è sburocratizzare il più possibile l’allacciamento alla rete elettrica delle fonti rinnovabili, che ancora adesso richiede tempi lunghi e un iter complesso.
Un’ultima domanda. Per quanto dovremo ancora registrare aumenti consistenti dei beni che fanno parte del cosiddetto carrello della spesa, che ultimamente sono arrivati in doppia cifra?
Ancora stiamo ricevendo moltissimi aumenti di listino da parte dei fornitori, c’è chi è arrivato al quinto quest’anno. E c’è un lasso temporale tra quando viene aumentato il listino e quando noi riusciamo in parte ad assorbirlo in parte, purtroppo, a scaricarlo sul cliente finale. Da qui a dicembre non ci aspettiamo assolutamente una diminuzione dell’inflazione, sfortunatamente non sembra si stia ancora raggiunto il picco.
(Lorenzo Torrisi)
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