A margine del vertice dei ministri delle Finanze dei Paesi G20 che si è tenuto nello scorso fine settimana a Bangalore si è parlato anche di Bce, data la presenza dei Governatori delle principali banche centrali. Christine Lagarde, intervistata da The Economic Times, ha spiegato che “ci sono tutte le ragioni” per ritenere che a marzo ci sarà un aumento dei tassi di altri 50 punti base dopo quello di analoga entità operato a inizio febbraio.
All’Eurotower continuano, però, ad arrivare richieste di prudenza, non solo da parte delle banche italiane, ma anche da Confindustria, il cui Presidente Carlo Bonomi ha invitato la Bce a fare attenzione a non creare le condizioni per una recessione.
Nicola Rossi, professore di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata e membro del cda dell’Istituto Bruno Leoni, ricorda, però, che «l’indipendenza della banca centrale serve proprio a “proteggere” le sue decisioni da quelle che possono essere comprensibili “lamentele” da parte delle diverse categorie sociali. Detto questo, c’è un’importante osservazione da fare rispetto al dibattito in corso sulle mosse della Bce».
Quale?
Non c’è alcuna politica monetaria restrittiva in atto, si sta semplicemente tornando ad assegnare un prezzo ragionevole e normale al rischio, cosa che non è stata fatta per più di dieci anni. Una scelta di questo tipo era certamente giustificata negli anni immediatamente successivi alle crisi del 2008 e del 2011, ma da un certo punto in poi poteva tranquillamente essere accantonata. Dunque, oggi si sta tornando alla normalità, per così dire, e nulla più.
C’è il rischio che, nonostante tutto, la Bce non riesca a far scendere l’inflazione?
L’inflazione non scende facilmente e, quindi, non vedo il rischio che una politica monetaria come quella che viene perseguita non abbia successo. Tuttavia, ci vorrà del tempo, la cui entità è direttamente proporzionale al ritardo che è stato accumulato rispetto all’avvio del rialzo dei tassi. Detto questo, al momento non si ha la sensazione che il rallentamento delle economie possa essere particolarmente significativo. Questo non vuol dire che non ci sia e non ci sarà nel 2023, ma sulla base di quello che oggi osserviamo si tratta di un rallentamento del tutto compatibile con simili situazioni del passato.
C’è, quindi, ancora spazio, secondo lei, per altri rialzi nel 2023 dopo quello ormai certo di marzo?
Ho la netta sensazione che se le tendenze continuano a rimanere quelle in atto non si possa fare diversamente. Dopodiché comprendo tutte le cautele, le riserve del caso, ma francamente dubito che se il quadro resta invariato la Bce non debba proseguire nella sua strategia.
Potrebbe arrivare magari a un punto e poi prendersi una pausa per veder l’effetto delle sue scelte?
L’arte del banchiere centrale è molto complicata, ma non so quanto sia raccomandabile una politica monetaria fatta di pause per vedere che succede. Credo che ai mercati vada data un’indicazione ragionevolmente precisa di quello che accadrà e, quindi, che la Bce debba dare segnali in questo senso.
Sarebbe, quindi, opportuno che venisse data un’indicazione sul tasso terminale a cui si vuole arrivare.
Spiace dirlo, ma temo proprio che sia difficile non osservare che dal punto di vista comunicativo in questi ultimi tempi la Bce non è stata proprio esemplare. Credo che sotto questo punto di vista vadano fatte delle correzioni, ma, ripeto, non penso che la comunicazione migliore sia quella più incerta per cui si aspetta di vedere quel che succede: trasmetterebbe un messaggio preoccupante di insicurezza ai mercati.
Alla fine di marzo scadranno i sostegni contro il caro energia. Cosa conviene fare, visto che la stessa Bce ha segnalato che una volta che verranno meno le misure dei Governi a sostegno di famiglie e imprese l’inflazione salirà?
Ho la netta sensazione che la domanda da porsi sia un’altra, cioè quale sia lo stato della finanza pubblica. Finché non avremo una risposta precisa è inutile formulare ipotesi sulle scelte da fare riguardo i sostegni a famiglie e imprese. Lo stato della finanza pubblica potrebbe essere tale per cui certe cose non si possono più fare. In questo senso l’intervento, a mio modo di vedere assolutamente condivisibile, sul superbonus ha trasmesso un segnale importante.
Quale?
Che lo stato della finanza pubblica ha bisogno di particolare attenzione, nonostante una Legge di bilancio che è stata prudente. Per via del superbonus si sono accumulati dei problemi per la finanza pubblica che probabilmente erano solo in parte previsti o contabilizzati fino a quel momento. Mi consente un’osservazione di carattere generale?
Prego.
Dobbiamo uscire da un periodo veramente sconclusionato in cui abbiamo pensato che fosse possibile tutto e il suo contrario. Credo che abbiamo vissuto per anni nella convinzione che i vincoli di bilancio non esistessero, che fosse possibile semplicemente stampare moneta e risolvere così ogni criticità, che il debito pubblico non fosse assolutamente un problema. Capisco che è sgradevole, che è faticoso, ma è arrivato il momento di uscirne, altrimenti ci ritroveremo con difficoltà ancora più serie. Quell’illusione collettiva, che in realtà era illusione per alcuni, ma era profonda malafede da parte di altri, è bene che finisca. Prima ce ne rendiamo conto, meglio è.
Questa situazione di vincoli di bilancio che stanno riemergendo può essere l’occasione per razionalizzare la spesa pubblica in modo da creare spazio per interventi anti-inflazione mirati sulle fasce più deboli?
Dovrebbe. Avrei dovuto rispondere deve, ma conoscendo la politica italiana è necessario usare il condizionale. Se è stato possibile prendere una decisione difficile, ma al tempo stesso abbastanza drastica per quanto riguarda il superbonus, non si vede perché non si possa fare una riflessione sul bonus monopattino o sul bonus giardini, che esistono ancora, o su tutta la pletora di detrazioni e regalie di cui abbiamo vissuto in questi anni.
(Lorenzo Torrisi)
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