Istat e Eurostat, insieme, come un tandem ciclistico impegnato in una vittoria di tappa con traguardo la tanto agognata meta: l’inflazione. Una corsa per entrambi contraddistinta dal continuo e costante incremento di pendenza di una comune salita: i prezzi del carrello della spesa. Ogni mese, ecco arrivare un nuovo dato che, salvo imprevisti (magari ce ne fossero), conferma la cosiddetta stima preliminare anticipata qualche settimana prima del “numero ufficiale”. Anche ieri (per Eurostat), come martedì (per Istat), il comunicato diffuso dall’Ufficio statistico dell’Unione europea ha capitolato con questa costante fatica del vivere quotidiano europeo: a gennaio – il tasso d’inflazione dell’Eurozona – è salito al 5,1% rispetto al precedente 5% di dicembre. Un incremento che non coglie di sorpresa nessuno e, purtroppo, potrebbe ancora di più peggiorare con il trascorre dei mesi a venire.
A zavorrare l’indice del carovita del Vecchio continente è sempre la medesima componente che, nell’arco di questi ultimi mesi, si è fatta conoscere e – con elevate probabilità – si farà ulteriormente ricordare negli annali della stessa serie storica dei prezzi: il rincaro energetico che, attraverso un balzo in avanti del 2,8%, veste i panni da capofila del paniere preso in esame. A seguire troviamo i servizi (+0,98%), successivamente i beni (rif. “food, alcohol & tobacco”) a +0,77% e, infine, i cosiddetti “non-energy industrial goods” (+0,56%).
Nello stessa rilevazione di Eurostat si evidenzia inoltre il dato complessivo sull’inflazione dell’insieme Ue: +5,6% rispetto al 5,3% di fine 2021.
In termini assoluti, i valori diffusi da Eurostat, sono decisamente significativi, soprattutto se confrontati con la loro storia recente. Basta tornare indietro di un anno esatto e comparare questi ultimi con i loro stessi precedenti: a gennaio 2021 il tasso di inflazione rilevato nell’Eurozona era allo 0,9% (rispetto all’odierno 5,1%), mentre il quantum riconducibile all’Ue si attestava all’1,2% anziché all’attuale 5,6%. Ci troviamo di fronte a un balzo di oltre quattro punti percentuali in un solo anno e, lo ribadiamo, potrebbe non essere finito.
A confermare quest’ultimo scenario giunge ovvia la motivazione: il recente rialzo del petrolio che, favorito dalle tensioni tra Russia e Ucraina, ha visto aggiornare i suoi prezzi soprattutto in questi ultimi giorni. Prendendo come riferimento le quotazioni del cosiddetto barile (rif. WTI) si può osservare la sua costante e interrotta crescita in poco meno di due mesi: dai circa 75 dollari di fine anno 2021, oggi troviamo “l’oro nero” navigare a quota 95 e ormai prossimo a oltrepassare la soglia psicologica dei 100 dollari.
Fatte le dovute proporzioni relative alla sua contribuzione (con riferimento al paniere dei beni appartenenti al calcolo dell’inflazione) è inevitabile ipotizzare un incremento del carovita europeo (e italiano) nel corso delle prossime rilevazioni mensili.
A contrastare questa potenziale dinamica negativa non sembrano essere presenti sufficienti fattori: l’Europa è consapevole, la Bce commenterà passivamente l’escalation del rialzo, mentre i cittadini ancora una volta (come sempre) pagheranno: prescindendo dal petrolio o dalle guerre. Historia magistra vitae.
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