Il recente dato definitivo sull’inflazione italiana è stato accolto senza grande stupore. Fatta eccezione per alcune, poche, e scontate considerazioni dettate più da logiche di propaganda anziché da intenti proattivi al contrasto dello stesso caro vita, la variazione comunicata da Istat è ormai storicizzata: «In media, nel 2022 i prezzi al consumo crescono dell’8,1% (+1,9% nel 2021). Al netto degli energetici e degli alimentari freschi (l'”inflazione di fondo”), i prezzi al consumo aumentano del 3,8% (+0,8% nell’anno precedente) e al netto dei soli energetici del 4,1% (+0,8% nel 2021)». Questi i valori medi in capo al Bel éaese che, se raffrontati alle previsioni di un mai dimentico recente passato, vedono una differenza sostanziale (in peggio): oltre i due punti percentuali. Abbondantemente.



Banale guardare indietro e ai molti “se” che potrebbero, solo oggi, sottostare a un intento accusatorio nei confronti dei molti osservatori: il 2022 che ci lasciamo alle spalle può essere ricordato come uno dei peggiori anni caratterizzato da insospettabili mea culpa a seguito (ex post) delle valutazioni errate. Banchieri centrali, membri di istituti sovrannazionali e nazionali, economisti, analisti, e via, via così all’interno di un perimetro finanziario che, talvolta, sembra aver perso i proprie confini.



Sulla base di questa inaspettata esperienza, oggi, ogni view prodotta parte zavorrata dal ricordo delle precedenti errate valutazioni degli illustri divulgatori: ancora prima di emettere un parere con relativo giudizio finale, lo stesso autore, sembra metabolizzare l’insuccesso aggrappandosi all’inutile giustificazione “se hanno sbagliato loro, posso sbagliare anch’io”. Pertanto, leggere di numeri e di cosiddette valutazioni sul futuro, lascia inermi (ancor più rispetto al passato) di fronte all’errore.

E soffermando l’attenzione sul tema più ricorrente (l’inflazione) in questi ultimi mesi, apprendere, per l’ennesima volta, di nuove aspettative e della loro entità, incute sicuramente molti timori soprattutto se a rilevare il tutto è Banca d’Italia attraverso la pubblicazione periodica “Indagine sulle aspettative di inflazione e crescita”. Come si legge nel rapporto «Le attese sull’inflazione al consumo sono cresciute in misura marcata sui diversi orizzonti di previsione, raggiungendo in tutti i comparti i livelli massimi dall’inizio della rilevazione nel 1999. Il tasso atteso di inflazione al consumo si attesta, in media, a 8,9 per cento tra sei mesi (da 7,5 nella precedente rilevazione), a 8,1 tra 12 mesi (da 6,9), a 6,7 tra 2 anni (da 5,7) e a 5,7 su un orizzonte compreso tra i 3 e i 5 anni (da 4,9)».



In base a questa indagine condotta (tra il 22 novembre e il 14 dicembre) presso le imprese italiane (con almeno 50 addetti) dell’industria e dei servizi il quadro è significativamente chiaro. Come chiaro, allo stesso modo, è stata la risultanza (presente ma “nascosta” tra le righe) che riteniamo opportuno riprendere dal comunicato Istat a commento dell’ultimo dato definitivo sull’inflazione: “La misura dell’inflazione per classi di spesa delle famiglie” riconducibili ai meno e ai più abbienti (o cosiddetti appartenenti al “primo” e “quinto” gruppo).

Per il comparto dei beni: «La dinamica dell’inflazione dei due gruppi di famiglie riflette principalmente quella del comparto dei beni, i cui prezzi, in media d’anno, segnano nel 2022 una crescita tendenziale del +17,2% per quelle meno abbienti (era +3,3% l’anno precedente) e del +9,8% per quelle con capacità di spesa più elevata (era +2,3% nel 2021)». Stessa dinamica anche per i servizi: «Anche nell’ambito dei servizi, l’inflazione, in media d’anno, è più ampia nel 2022 rispetto al 2021 sia per le famiglie del primo gruppo (+2,3%, era +0,7% nel 2021) sia per le famiglie del quinto (+3,7%, dal +0,9% dell’anno precedente)». In termini assoluti, come ovvio, il tutto si traduce nell’ormai ricorrente divario in ambito di disuguaglianze sempre più costanti con il trascorre del tempo.

A confermare questa triste tendenza che non appartiene al solo mercato, bensì all’intero contesto sociale quotidiano, giungono indirettamente le stime riferite al 2022 dell’ufficio studi della CGIA di Mestre. Nella pubblicazione “Famiglie: crescono le spese obbligate. Cibo, benzina e bollette “drenano” ormai il 60% degli acquisti” emerge come «le spese obbligate delle famiglie italiane continuano ad aumentare» ovvero «gli acquisti per gli alimentari/bevande, per i trasporti e per la casa sono stati, sul totale della spesa mensile media di una famiglia italiana, pari al 59,6 per cento. In termini monetari vuol dire che, a fronte di una spesa mensile media pari a 2.016 euro, 1.202 euro l’anno scorso sono stati “assorbiti” dagli acquisti obbligati».

Un salasso. Un salasso che, prescindendo dal mero aspetto monetario, identifica uno status dell’essere cittadino italiano che, negli stessi termini usati da CGIA, delinea la drammatica condizione italiana: «Insomma, a causa dell’inflazione spendiamo di più, portiamo a casa meno beni e la gran parte della spesa – per cibo, carburanti e bollette – la facciamo per “vivere” e per recarci/tornare dal luogo di lavoro». Forse, non ce ne voglia l’illustre CGIA, a quell’indicato vivere tra virgolette sarebbe stato più opportuno, invece, riportare la vera realtà dei fatti ossia: oggi, con questi numeri, si cerca di sopravvivere, giorno dopo giorno, incuranti a ogni qualsivoglia previsione, aspettativa, prescindendo dall’essere giusta o sbagliata. Sopravvivere, ricordiamolo. Questo è solo e obbligato sopravvivere. Oltre, non c’è nulla.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI