Martedì è stato diffuso il dato tendenziale annuo dell’inflazione Usa riferito al mese di febbraio, che è risultato essere del 3,2%, quindi superiore di 0,1 punti alla stima riportata da Bloomberg che raccoglie le attese di operatori del mercato di Wall Street. Nel mio intervento di stima avevo, in maniera identica, indicato un valore puntuale del 3,1% con valore minimo dell’intervallo del 3,0%; elaborazione pertanto in sostanziale aderenza ai dati effettivi e affetta da lieve imprecisione di 0,1 punti.



La parte core del dato inflativo è stata anch’essa lievemente superiore alle attese dei mercati portandosi al 3,8% invece del 3,7% atteso; ricordiamo che la componente core esclude alimentari ed energia, e sia per questo aspetto che per altri più generali, almeno a mio personale giudizio, non è più importante e indicativa come anni fa; il perché principale è presto detto: l’attuale fenomeno inflativo ha le cause principali in fattori esogeni, con in testa le dinamiche delle quotazioni del petrolio sui mercati mondiali; quindi, le dimensioni legate alle varie componenti di consumo della domanda aggregata, anche di beni industriali, divengono meno essenziali nella comprensione della durata dei fenomeni e della loro propagazione.



Anzi, nell’intervento di stima avevo elaborato una sostanziale costanza del prezzo dei beni energetici, se non addirittura di lieve decremento, mentre al contrario dal dato effettivo di febbraio si sono registrati aumenti in tale categoria, che poi ha finito per dare il contributo di far attestare i valori inflativi tendenziali e complessivi al 3,2%.

Piuttosto, quello che si vuole evidenziare in questa sede è che se i valori del barile Wti di petrolio restano in un intervallo tra i 75 e gli 80 dollari fino a fine giugno troveremo per il dato tendenziale di giugno un valore del 4-4,2%, cioè l’inflazione tornata a crescere.



Questa crescita potenziale e verosimile perlomeno fino a giugno, data una ragionevole costanza dei valori del barile Wti del petrolio, non fa altro che individuare il percorso di fondo e il livello di crescita dell’inflazione a stelle strisce; personalmente, credo che alla Fed questa tipologia di monitorazione è la principale per seguire l’andamento del fenomeno in oggetto, e tra le altre cose questa specificazione porta a ritenere che probabilmente i tassi di interesse per tutto il 2024 non verranno toccati, soprattutto all’ingiù.

Qui però va sempre specificato con molta cura che la dinamica del mercato e dei prezzi del petrolio è di fatto una variabile esogena per gli Usa, in quanto né Fed, né Casa Bianca, né alla fine il Congresso hanno leve decisionali e parametrabili di intervento; anzi, in una situazione del tutto opposta, noi ci troviamo davvero di fronte alle imprevedibilità e alle alleanze più inattese; sappiamo, ad esempio, che perlomeno fino a giugno Arabia Saudita e Russia manterranno in vita i tagli complessivi alla produzione di circa 5 milioni di barili giornalieri, ma questo per gli altri membri Opec+ è da vedere come venga in realtà accettato, e lo si vedrà giorno per giorno. Inoltre, non vanno dimenticate le tensioni geopolitiche nel Mediterraneo orientale e soprattuto nel Mar Rosso e nello stretto che fa capo allo Yemen; se le situazioni a Gaza e negli stretti si inaspriscono, il prezzo del petrolio ne risentirà in maniera sensibile.

Tanto per dare un ordine di idee, se giungessimo in maniera costante ai 100 dollari al barile per fine giugno, l’inflazione tendenziale a quel mese nella nazione a stelle e strisce sarebbe oramai di nuovo nell’area del 6-6,5%, questo all’invarianza di altri fattori attuali, come i tassi di interesse della Fed e il deficit federale.

La situazione complessiva, insomma, è di forte esposizione della domanda aggregata Usa e quindi del Pil agli accadimenti esterni e alle politiche fiscali; come se non bastasse purtroppo, siamo nell’anno delle elezioni presidenziali a novembre, e questo è un latro fattore fortemente perturbativo e difficilmente inquadrabile.

Le cose non terminano qui, in quanto dobbiamo sempre considerare i valori iperbolici della finanza statunitense pubblica e privata e la smania di protagonismo ed effervescenza di Wall Street; l’esempio iconico di quest’ultimo mese sono le quotazioni di Bitcoin oramai nell’intorno dei 75.000 dollari; a mio giudizio personale siamo di fronte a una pericolosissima bolla che purtroppo è stata fatta gonfiare ad arte dalle stesse autorità statunitensi di controllo.

In effetti, vorrei proporre un’immagine scomodissima del perché Bitcoin non abbia alcun valore intrinseco; se infatti si fa mente locale ai comportamenti e alle suggestioni dei possessori di Bitcoin, nonché ai suoi estimatori, si percepisce benissimo il senso di opulenta ricchezza che al momento la criptovaluta sta dando; ma la riflessione più attenta dovrebbe iniziare proprio in questo momento nel percepire che la ricchezza del Bitcoin è data dal suo cambio con il dollaro americano; se appunto, noi immaginiamo per un istante che il dollaro Usa non sia più valuta di scambio sui mercati internazionali, perlomeno nella sua funzione benchmark, a cosa dovrebbe relazionarsi un Bitcoin? La risposta è immediata e sconvolgente: si dovrebbe relazionare all’oro. Ebbene, ragionando per un solo istante a valori pieni e pari, nel senso di 1 Bitcoin che attualmente comprerebbe 1 kg di oro senza problema alcuno, la messa da parte del dollaro e l’inevitabile cambio diretto, almeno potenziale, tra oro e Bitcoin, veramente fa credere agli speculatori e alla tanta gente oramai tratta dentro questa bolla gigantesca, che chi possedesse un kg di oro fisico lo scambierebbe con un Bitcoin?

Eliminate del tutto questa fantasia perversa e pensate piuttosto che in tal caso ci vorrebbero 5.000 Bitcoin per acquisire 1 solo grammo d’oro; in poche parole lo scoppio della bolla. Ecco perché, come evidenziato in un altro mio intervento di qualche giorno fa, se l’oro entro due anni a partire da oggi rompe il livello tra i 2.750 e i 3.000 dollari salta l’attuale sistema dei pagamenti e con esso tutti i baracconi degli speculatori mediocri folli e pericolosi.

giovanniricci669@gmail.com

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