Nel pomeriggio di martedì 13 febbraio è stato rilasciato il tanto atteso dato sull’inflazione negli Stati Uniti. I prezzi al consumo continuano a manifestare segni di disinflazione, ma gli investitori si aspettano una decrescita ancora più marcata.
L’inflazione annuale statunitense per il mese di gennaio si è posizionata al 3,1%, in diminuzione rispetto al 3,4% registrato a dicembre 2023, ma superiore alle previsioni del 2,9%. Mensilmente ha registrato un incremento dello 0,3%. L’inflazione core, invece, la quale esclude la componente dell’energia e del cibo, è rimasta invariata al 3,9% su base annua.
Grafico 1 – US Consumer Price Index (variazione annuale %)
Analizzando le componenti all’interno del CPI, possiamo notare che l’aggregato dei servizi continua incessantemente la sua ascesa, con una crescita mensile dello 0,7% e del 5,4% annuale. All’interno dei servizi troviamo la componente degli affitti (0,6% mensile), i servizi di trasporto (1% mensile), e i servizi di assistenza medica (0,7% mensile).
La componente relativa al settore alimentare ha registrato un aumento importante rispetto al mese precedente, con un incremento dello 0,4% e una crescita annuale del 2,6%. D’altra parte, l’aggregato energetico ha subito un decremento dello 0,9%, riflettendo un calo annuale del 4,6%.
Il dato di gennaio continua, quindi, a confermare un’inflazione negli Usa che, sebbene stia continuando a mostrare segni di rallentamento, rimane ancora estremamente appiccicosa. La crescita dei prezzi dei servizi continua senza sosta, e la componenti degli affitti e alloggi ha contribuito per addirittura due terzi nell’aumento mensile dell’inflazione di gennaio. Inoltre, l’inflazione core rimasta invariata, denota un CPI in diminuzione aiutato in gran parte della decrescita dell’energia.
I mercati finanziari hanno reagito prontamente al rilascio del dato, con una perdita di circa -1,5% per il Nasdaq e del -1,3% dell’SP500. Parallelamente, i rendimenti sull’obbligazionario a 2 anni hanno subito un forte incremento di circa 0,18 punti percentuali.
Il messaggio lanciato dagli investitori i è molto chiaro: l’inflazione sta scendendo, ma non al ritmo desiderato. Riallacciando il nastro e facendo zoom out, gli investitori avevano piazzato a inizio anno diverse scommesse sui tagli della Fed durante il 2024.
Inizialmente, i mercati prevedevano 6 o 7 tagli dei tassi da parte della Banca centrale americana durante l’intero anno, stimando i tassi federali attestarsi a circa il 3,75%, con un primo taglio già a partire da marzo 2024. D’altra parte, la Fed nel Fomc di dicembre 2023 aveva mostrato la sua previsione media di 3 tagli totali, portando i tassi federali al 4,75% a fine 2024. La finanza stava perciò scontando una politica monetaria molto più accomodante, mentre la Fed prevedeva (e prevede tutt’ora) un’economia resiliente in grado di sorreggere tassi elevati, necessari per sconfiggere definitivamente l’inflazione.
Le carte in tavola sono ora cambiate, e gli investitori si stanno sempre di più allineando alle proiezioni di Powell. Attualmente, i mercati si aspettano circa 3 o 4 tagli, con una prima riduzione a partire da giugno 2024, anziché marzo.
Grafico 2 – Probabilità scontante dal mercato sui i tassi d’interesse federali (dicembre 2024)
Ciò che implicitamente dichiarano gli investitori è che si stanno sempre più fidando delle proiezioni della Fed, prevedendo un’inflazione più appiccicosa, che necessiterà di politiche monetarie restrittive più a lungo per esser sconfitta.
D’altra parte, sebbene i mercati abbiano cambiato le loro aspettative riguardo le tempistiche nella politica monetaria futura, stanno mantenendo invariate le loro scommesse su un probabile soft landing da parte della Fed. Infatti, l’azionario statunitense sta continuando a salire incessantemente da ottobre 2023, registrando continuamente massimi storici, denotando una grande euforia nell’attuale situazione macroeconomica.
La finanza non vede perciò ostacoli nel prossimo futuro. Il mercato del lavoro resiliente e una crescita economica robusta permetterebbero alla Banca centrale di mantenere tassi d’interesse ancora elevati per sconfiggere l’inflazione e conquistare il famigerato soft landing.
La verità è che questa euforia dei mercati potrebbe dimostrarsi eccessiva. Già diverse volte ho espresso l’importanza dell’effetto ricchezza nell’economia statunitense, il quale potrebbe portare un ritorno inaspettato dell’inflazione. Inoltre, dati del lavoro che continuano a mostrare forza si traducono in consumi e spesa maggiori dei cittadini. A gennaio lo stipendio orario nei settori non agricoli è incrementato mensilmente dello 0,6%, ben al di sopra delle aspettative dello 0,3%.
Tutto ciò può mettere a dura prova le scommesse portate avanti dalla finanza. La Fed è stata chiara, e continuerà a mantenere politiche inasprite fino a che l’inflazione non sarò sconfitta. Ma la battaglia contro dei prezzi al consumo appiccicosi potrà risultar molto complessa se l’eccessiva euforia degli investitori non dovesse placarsi.
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