L’11 gennaio verrà diffuso il dato tendenziale annuo dell’inflazione Usa riferito al mese di dicembre. Nel presente intervento si stima un tasso del 3,2% con un intervallo al minimo del 3%; tutto questo dovuto alla permanenza media del prezzo del petrolio al barile Wti tra un intervallo tra i 70 e i 73 dollari; per alcune giornate si sono avuti prezzi fino ai 67 dollari come minimo e fino ai 76,5 dollari come massimo, ma come, prima riportato, il dato medio è dato dall’intervallo 70-73 dollari.
Si rimarca e si ribadisce in questo intervento che il vero fattore dell’inflazione a stelle e strisce è il mercato del petrolio in maniera principale, mentre per una quota pari a circa il 30% la dinamica inflattiva risiede negli eccessi di spesa pari al 6,5% circa del Pil; quindi, come altre volte sostenuto, la dinamica degli interventi della Fed tramite l’innalzamento dei tassi di interesse non è un’azione né centrale, né diretta per abbattere l’inflazione; non è centrale, in quanto nelle situazioni di shock esogeni sull’offerta aggregata e di disavanzi strutturali di spesa corrente federale, i tassi di interesse fanno molto poco per contenere la domanda, e il loro meccanismo principale invece serve per impattare sulle aspettative degli operatori, per convincerli cioè di un futuro maggiormente rischioso e da affrontare, per tale motivo, in maniera più cautelativa; l’azione dei tassi di interesse della Fed nel contesto macro economico attuale non è nemmeno diretta, in quanto più che un’azione di politica monetaria è divenuta un’azione di politica valutaria per tenere alto il corso del dollaro e pagare per tale verso le importazioni a costi minori e avere quindi minori impatti inflattivi, dato che il petrolio importato di cui necessitano gli Usa in tal modo ha prezzi inferiori.
Piuttosto, è da sottolineare un pericoloso fenomeno di isteresi strisciante, ravvisabile nei corsi di Wall Street con gli indici Dow Jones e Nasdaq nettamente al rialzo, addirittura il Dow Jones ha superato i 37.000 punti giungendo quasi a 38.000, la qualcosa è il record di tutti i tempi della borsa americana; detto in altro modo, a Wall Street sprizzano ottimismo per una serie di concause, e cioè discesa dell’inflazione tendenziale da giugno 2022 del 70%, aspettative di tagli iniziali dei tassi di interesse da parte della Fed a partire all’incirca da maggio 2024, con date e intensità da specificare in dettaglio, crescita del Pil nella nazione di circa il 2,3% annuale; dove si cela quindi la fragilità dell’effervescenza e dei valori appena presentati? Si cela la fragilità nel non volere vedere la montagna, e cioè che il Pil della nazione è cresciuto del 2,3% a fronte di deficit federale del 6,5%, e inoltre che tale situazione si ripete oramai da tre anni a questi livelli, ma anche prima del 2020 abbiamo gli Usa costantemente in deficit annuali, ed è per tale motivo che per un verso o per un altro arriviamo sempre al gigantesco convitato di pietra, e cioè il debito pubblico della nazione oramai a quota 33.700 miliardi di dollari con il Pil 2023 a circa 23.650 miliardi.
In parole povere, il pericolo attuale sta nel fatto che Wall Street vede solamente ciò che è positivo, nel senso che il problema del debito pubblico è demandato al Congresso e alla Casa Bianca risolverlo e non ai soggetti imprenditoriali e finanziari. Questa è una lettura foriera di pericoli che non ci si appresta a scontare, ma a pagarli tutti in una volta sola quando si presentano, cosa che del resto, poi, è sempre avvenuta nella storia delle cose economiche e politiche.
Il centro finanziario degli Usa vive su una doppia assunzione di certezze, a dirsi il ruolo del dollaro nel mondo e la sostenibilità del proprio debito pubblico. Quest’aria di effervescenza, in effetti, non è la stessa che si respira al Congresso americano, dove oramai le ombre cupe di impegni debitori senza fine alcuna iniziano a seminare incertezze, dove l’ultima è sotto gli occhi di tutti e cioè la mancata approvazione del pacchetto da 100 miliardi di dollari promesso e sbandierato da Biden per l’Ucraina e Israele.
La tela del ragno comincia a divenire sempre più visibile e insidiosa, nel senso che più gli Usa vogliono aumentare i debiti in assoluto e più quei debiti richiedono finanziamenti più onerosi e quindi curve dei tassi di mercato spostati all’insù, ragione per cui oramai in parecchi analisti è maturata la convinzione che il periodo a tassi pari allo zero avutisi tra il 2008 e il 2020 è un’eccezione che non si manifesterà più, e quindi la preparazione da parte di tutti a livelli medi del 2,5-3% per le più importanti figure di tassi di interesse di riferimento.
Tra le altre cose, non va dimenticata una questione che scotta oramai tantissimo, e cioè che se la Fed vorrebbe dirigersi verso il pavimento del valore zero, ipotesi attualmente del tutto irrealistica, il prezzo in dollari dell’oncia d’oro avrebbe un range di riferimento tra i 2.350 e i 2.450 dollari, e per tale fatto vicinissimo al valore soglia dei 2.700 dollari che statuirebbe la fine del dollaro americano come valuta di riserva e dei commerci internazionali.
Non è nemmeno questo più un mistero per nessuno, e cioè che tutte le banche centrali del mondo abbiano fatto acquisti massicci e record di oro fisico per tutto il 2023; ed è quindi subito ravvisabile un’altra spia della crisi sistemica del mondo americano, a dirsi la correlazione negativa sbandierata da anni, praticamente da dopo il 1990, che innalzamenti dei tassi Fed e dell’obbligazionario Usa portavano a cadute del prezzo in dollari dell’oncia d’oro; al contrario, qualsiasi persona può apprezzare come nel 2023 a incrementi dei tassi Fed seguivano comunque incrementi del prezzo dell’oro.
Si approfondirà in altro intervento tale mutazione degli scenari, qui invece si vuole lasciare a mo’ di valore iconico drammatico e severo il seguente dato: se gli Usa dovessero usare le 8.176 tonnellate della loro riserva aurea, prima nel mondo, per estinguere il loro debito pubblico, il valore necessario dell’oncia d’oro sarebbe pari alla iperbolica cifra di 130.000 dollari a fronte degli attuali 2.070 medi scambiati sul mercato.
Si ribadisce che tale immagine non è del tutto corretta, anzi si può dire che è viziata da molte capziosità, ma serve a rendere l’idea, un’idea potenzialmente strabordante di criticità.
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