L’ultimo dato sull’inflazione americana ha evidenziato due elementi positivi per la Federal Reserve. Il primo elemento è che a maggio l’inflazione è stata “solo” del 4,0% rispetto al 4,9% di aprile e ben al di sotto del picco del 9,1% di giugno; è stato anche il dato più basso da marzo 2021. Il secondo dato positivo è la coerenza tra le aspettative e il dato finale; questo significa che si è avuta una normalizzazione delle componenti più volatili dell’indice e che per il mercato e gli investitori è più facile fare previsioni. Siamo in uno scenario molto diverso da quello valido fino a qualche mese fa quando il dato sorprendeva spesso al rialzo. È vero che la componente “core” dell’indice, al netto degli alimentari e dell’energia, rimane al 5,3% in calo dal 5,5% di aprile, ma il dato sintetico, seppure ancora superiore all’obiettivo del 2%, è in un trend calante.
Il dato di ieri dovrebbe consentire di evitare un altro rialzo dei tassi con la decisione che verrà presa stasera e restituisce alla banca centrale americana un po’ di respiro dopo una fase in cui ha dovuto rincorrere l’inflazione con un ritmo sostenuto di rialzi. Oggi il mercato si aspetta solo un altro rialzo di 25 punti base a luglio e poi un calo collocato negli ultimissimi mesi del 2023. Da qui in avanti il quadro cambia rispetto a quello che abbiamo visto negli ultimi trimestri.
Abbiamo lasciato un quadro di crescita economica, di alta inflazione e di continui rialzi dei tassi. Oggi siamo entrati in un quadro di rallentamento dell’inflazione e, con ogni probabilità, anche di rallentamento economico. Questo, per ora, è tutto quello che possiamo dire. Rimane da scoprire quanto sarà veloce o profondo il deterioramento economico e quanto sarà resistente l’inflazione, e il ciclo di ripresa, che in questo momento beneficia ancora sia di politiche fiscali espansive, il deficit americano è ancora sensibilmente superiore al 2019, sia di un eccesso di risparmio che risale ancora alle anomalie del 2020 e del 2021, sia degli investimenti per il rimpatrio delle produzioni.
In questo nuovo scenario una delle variabili più importanti è la sensibilità della Fed al rallentamento economico e la tolleranza a un’inflazione che rimane sopra il 2%. Il rischio che l’inflazione riparta rimane elevato a meno di ipotizzare recessioni nette; questo dovrebbe giustificare prudenza sull’inversione della politica monetaria.
Sullo sfondo rimane la campagna elettorale presidenziale del 2024. La regola non scritta è che la Fed eviti di entrare nell’agone cambiando politica monetaria rapidamente. È la ragione per cui la normalizzazione della politica monetaria è stata rimandata sul finale del secondo mandato di Obama mentre l’allora presidente della Fed, Janet Yellen, oggi Segretario del tesoro, si sgolava per segnalare l’aumento delle diseguaglianze nella società americana cui le politiche monetarie post-2008 non erano estranee. Hillary Clinton, sconfitta dall'”alieno” Trump nel 2016, ha pagato la delusione di ampie fasce della società americana rimaste escluse dalla ripresa post-Lehman iniziata nella primavera del 2009.
Alle elezioni americane mancano “solo” 15 mesi. Traghettare l’economia americana, in condizioni accettabili, fino a novembre 2024 non è facile; il rallentamento dell’inflazione è un buon inizio da associare, magari, a un congelamento del conflitto ucraino.
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