Mercoledì è stato diffuso il dato tendenziale dell’inflazione Usa riferito al mese di giugno, pari al 3%, quindi inferiore alla stima riportata da Bloomberg indicata al 3,1%. Nel mio precedente intervento di stima, invece, avevo indicato un tasso del 4,2%, in leggera crescita rispetto al dato di maggio pari al 4% e con un valore minimo dell’intervallo del 3,9%, avendo in conclusione elaborato una analisi inficiata da un grosso errore di valutazione. Pertanto, in questa prolusione, oltre a dare una descrizione dell’attuale struttura inflazionistica, cercherò di illustrare le cause di tale lontananza dai dati effettivi.



Allora, in prima battuta c’è sicuramente un meccanismo di composizione numerica, in quanto il dato tendenziale essendo una variazione mese su mese riferita a un periodo di 12 mesi portava l’uscita fuori dal conteggio del dato del giugno 2022 pari all’1,3% (in effetti il tendenziale di giugno 2022 era stato pari al +9,1%, il più alto in assoluto); d’altra parte, però, stimavo al contrario che le pressioni di accrescimento mensili sarebbero state più alte dello 0,3% e pari a circa uno 0,7% di aumento, in quanto il prezzo del barile Wti del petrolio oramai da 2-3 mesi a questa parte, sebbene su valori minimi, non va sotto un intorno dei 70 dollari al barile; bene, il prezzo di 70 dollari al barile non può comunque far assorbire l’inflazione del tutto sotto il 2% perché è un prezzo assoluto troppo alto rispetto anche solamente a 3 o 4 anni fa, dove si avevano valori medi di 50-55 al barile; in più va ora detto che a livello di composizione numerica dell’indice inizia la serie di mesi da luglio 2022 in avanti in cui gli incrementi mensili si sono a poco poco smorzati, arrivando a scendere stabilmente sotto lo 0,5% mensile; per tale motivo, si comprende che senza nessuna causa di variazione regressiva sui prezzi, il tasso atteso di inflazione per un anno a venire al “ceteris paribus” attuale sarà comunque tra il 3% e il 4%.



Va ora sottolineato, però, che ieri il prezzo del petrolio ha toccato nuovamente i 76 dollari al barile Wti e questo dato di accrescimento è quello pericoloso per l’inflazione, in quanto dagli 80 dollari all’insù le pressioni inflazionistiche tornano mediamente a uno 0,4-0,5% mensile, avendosi così spostamento tra il 4% e il 5% del tasso tendenziale annuo. Quasi scontato ribadire che a mano a mano poi che il prezzo del petrolio incrementi di nuovo i suoi prezzi assoluti oltre gli 85 dollari al barile Wti, ci troveremmo catapultati a piè pari di nuovo in un percorso di crescita inflazionistica simile a quello avuto tra luglio 2021 e giugno 2022.



A questo punto, abbiamo davanti uno scenario abbastanza chiaro per avere traccia robusta sebbene non precisa delle prossime e eventuali pressioni inflazionistiche, e cioè, come si comporterà il prezzo del petrolio?

A questa domanda, a mio parere, è arduo rispondere in quanto, come vado sostenendo da tempo, la materia prima in questione non è più gestita e gestibile dentro canonici schemi di economia e finanza internazionale, al contrario ha assunto sempre più le caratteristiche di un fattore di scontro geopolitico, con gli Usa da una parte e Arabia Saudita e Russia dall’altra; è chiaro, almeno per me, che l’alleanza opportunistica tra russi e arabi vale quello che vale, come quella tra russi e turchi, e per tale motivo gli Usa cercano di allargarne le crepe, le fratture, le distonie.

Al contrario, quando ci muoviamo in ambiti veri di strategie di economia internazionale e di finanza dei mercati, gli schemi per predire le azioni e i risultati degli attori in campo sono molto robusti, mentre quando – com’è ora per i giorni attuali – lo scontro e le contese vanno a ricadere sulle tematiche più vaste di nuovi equilibri strategici tra Stati sovrani non è più possibile affidarsi ai conteggi quantitativi, si entra invece nella dimensione qualitativa e amplissima della politica e della storia; un esempio anche semplice illustra tutto questo, ed è il seguente: il progetto di un investimento infrastrutturale si parametra agli anni di realizzazione e ai costi per realizzarlo, e poi a dei guadagni attesi costruiti su schemi di domande di mercato; nel caso, invece, di uno Stato che decida di cambiare il peso, il verso, l’intensità della sua posizione internazionale non è possibile operare alcun calcolo quantitativo.

In merito, invece, a un’analisi più mirata delle altre cause inflattive che concorrono, rimane come immediatamente seguente la rottura della logistica globale non più fluida e certa come prima del 2019 e sempre con un’intensità sensibile le tante e diffuse guerre commerciali che non vengono più composte nel panel Wto, o perlomeno senza l’efficacia di prima; ricordiamo poi che negli Usa più di ogni altro Stato del mondo, dato il valore assoluto del debito pubblico pari a 33.000 miliardi di dollari, c’è un effetto ricchezza attivo e potenziale sulla domanda di consumi assolutamente importante e non controllabile con facilità; se si vuole, questo aspetto lo si può descrivere con un’immagine diffusa nei giornali, nelle televisioni e nel nostro quotidiano italiano: ma se c’è crisi com’è possibile che la gente viaggi tantissimo sulle autostrade, e poi ristoranti e pizzerie piene, stazioni sciistiche, stabilimenti balneari esauriti, ecc.? Il famigerato effetto Ricchezza delle nazioni occidentali ad alti debiti pubblici, che non ha più bisogno della spirale prezzi-salari per alimentare l’inflazione.

Invece, i settori dove a mio parere negli Usa le tensioni sui prezzi sono più marcate, sono quelli a elevato valore aggiunto e alta professionalità di manodopera, in quanto per tali settori recuperare in eccesso l’incremento generalizzato dei prezzi è un modo per rendere efficace la sfida competitiva e cacciare dal mercato i produttori maturi e stantii, che possono solo cercare di ritardare la fine elevando i prezzi. Stiamo qui parlando della selezione darwiniana cercata e accalorata da Elon Musk e da tutta la Wall Street dominante: fuori i poco competitivi e vittoria e affermazione di nuovi imprenditori sempre più performanti. Poi, negli Usa degli homeless resta solo una tragedia immane; va però detto e sottolineato, che a differenza di Musk, il Presidente della Fed Powell ha un’attenzione forte a tali tematiche; fa quel che può per quello che gli permette il sistema sociale e politico statunitense.

giovanniricci669@gmail.com

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