L’inflazione in America a luglio (2,9%) ha fatto registrare il livello più basso dal 2021. L’indice al netto delle componenti più volatili degli alimentari e dell’energia si è fermato al 3,2%; anche in questo caso il numero è il più basso degli ultimi tre anni. Le attese sui tassi di interesse degli investitori, dopo la pubblicazione di ieri, sono rimaste ferme a quattro tagli dei tassi della Fed entro la fine dell’anno anche se con una probabilità leggermente più bassa di quanto fosse scontato l’altro ieri. Si accumulano i segnali di rallentamento dell’economia e diventa evidente che i consumatori americani faticano a tenere il passo degli incrementi dei prezzi. Nonostante questo, l’inflazione rimane al 3% e all’interno dell’indice emergono voci sensibilmente superiori a questo livello; su tutte quella relativa ai costi dell’abitazione ancora vicini al 5% oppure i trasporti fermi all’8,8% rispetto a dodici mesi fa.
L’inflazione è sopra il 2% da aprile 2021 e da quasi tre anni sono i servizi a trainare l’aumento dei prezzi, mentre energia e prodotti hanno smesso di essere un fattore dal almeno due anni negli Stati Uniti. L’inflazione continua a manifestarsi con incrementi superiori alla media nei settori più “finanziari” e vicini alle politiche monetarie come l’immobiliare. L’andamento del mercato immobiliare, tra l’altro, entra solo parzialmente nell’indice che non recepisce direttamente i prezzi delle case. L’inflazione quindi diminuisce ma sopravvive, sorprendentemente, nonostante il rallentamento dell’economia. Non sarebbe strano se, tra qualche trimestre, si rileggesse l’evoluzione dell’economia retrodatando l’inizio della recessione proprio a questa fase.
In queste settimane, per la terza volta negli ultimi ventiquattro mesi, gli investitori scommettono su un imminente ciclo di taglio dei tassi. La Fed ha tenuto invariati i tassi molto più a lungo di quanto si aspettassero gli investitori che hanno sbagliato il “timing” della recessione e della fine dell’inflazione almeno due volte: all’inizio del 2023 e tra le ultime settimane dello stesso anno e l’inizio del 2024. Questa è la terza volta, ma, a differenza delle prime due, l’inflazione è più bassa e i consumi rallentano. Il dato dell’inflazione comunicato ieri includeva un calo del 10,9% per il segmento abbigliamento che può essere considerato discrezionale. A meno di ipotizzare fattori “esogeni” all’economia, come i conflitti internazionali, sembra sia iniziato un percorso di rallentamento e fine dell’inflazione. La durata e la profondità di questo rallentamento è una funzione di tanti fattori; la velocità dei tagli della Fed e le politiche fiscali del prossimo Presidente americano sono in cima alla lista.
Questa incertezza si estende anche al prossimo ciclo monetario che potrebbe sorprendere e rivelarsi meno lungo e meno profondo di quelli a cui siamo stati abituati negli ultimi decenni. Più passa il tempo, più gli investitori sembrano prendere in considerazione la possibilità di un ciclo “anomalo” che, per esempio, si fermi su livelli di tassi più alti dei minimi degli ultimi cicli. Il contraltare di questa previsione è il rischio che anche la discesa dei prezzi possa essere breve.
L’ultima questione è quanto tempo occorra prima che il rallentamento economico diventi evidente sul mercato del lavoro e se bastino le attese di taglio dei tassi per sostenere i mercati. A tre mesi dalle elezioni è una questione decisiva.
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