Dopo dodici mesi di cali, l’inflazione a luglio negli Stati Uniti si è attestata al 3,2% rispetto al 3,0% di giugno. L’inflazione “core”, al netto dell’energia e degli alimentari, è scesa dal 4,8% di giugno al 4,7%. Il dato aggregato, come accade da molti mesi, nasconde dinamiche molto diverse: l’energia e i carburanti sono in calo in doppia cifra rispetto a un anno fa, mentre i prezzi dei servizi sono ancora in rialzo del 6,1% e la spesa per abitazioni del 7,7%. Anche l’inflazione “core” nasconde un calo netto delle vetture usate (-5,6%) e una diminuzione dei prezzi delle cure mediche (-1,5%). Queste dinamiche opposte aprono ancora una volta due interpretazioni diverse dell’attuale fase.
Ci si può concentrare su un dato che, seppure in lieve aumento rispetto a quello di giugno, conferma un livello di salita dei prezzi molto inferiore ai picchi dell’anno scorso quando il rialzo sfondava il 9%. In quest’ottica la battaglia contro l’inflazione, anche se non vinta del tutto, è in via di soluzione e non ci sono segnali di ripartenza. In questo schema la Fed potrebbe evitare ulteriori rialzi dei tassi e fermarsi in attesa di conferme sul ciclo economico. Diametralmente opposte le conclusioni che si possano tirare osservando un dato che rimane ben superiore al 2%, con un’inflazione “core” più che doppia rispetto all’obiettivo della Fed nonostante 10 rialzi consecutivi dei tassi. I beni a maggior frequenza di acquisto, alimentari e servizi, fanno registrare rialzi dei prezzi ancora sostenuti che sono mitigati da settori, le auto usate su tutti, che per i consumatori hanno impatti minori.
Il mercato del lavoro mostra qualche segnale di rallentamento, ma rimane a livelli storicamente molto buoni. L’andamento dei prezzi del gas e del petrolio, e di altre materie prime, nelle ultime settimane possono aprire a ulteriori rialzi dei prezzi. La politica fiscale americana rimane ancora espansiva.
La Fed ha l’obiettivo di riportare l’inflazione al 2%; questo obiettivo è raggiungibile nel breve medio periodo se l’inflazione rimane a questi livelli e scende ulteriormente. In questo caso la banca centrale può sostenere di aver fatto la maggior parte del lavoro e fermare il rialzo dei tassi in attesa, probabilmente, che un rallentamento economico faccia il resto. Se nei prossimi mesi, invece, complici il mercato del lavoro e la politica fiscale, si fermasse la riduzione o se, all’opposto, si osservasse qualche segnale al rialzo ci troveremmo di nuovo alla fine del 2021 quando la tesi della “transitorietà” dell’inflazione naufragava sotto un aumento dei prezzi molto superiore alle attese.
Il dato di luglio basta per confermare quanto si era detto un mese fa in uno scenario che aveva permesso alla Fed di mettere in pausa i rialzi. Rimangono valide per ora due tesi opposte: una sulla sconfitta dell’inflazione e un’altra sulla sua persistenza, contro dieci rialzi dei tassi, e nuovi aumenti che covano sotto la cenere.
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