Da mesi la pubblicazione dei dati sull’inflazione americana detta l’andamento dei mercati finanziari che scontano i rialzi dei tassi della Federal Reserve. Il dato di dicembre, pubblicato ieri, è stato perfettamente in linea con le previsioni e ha evidenziato un incremento dei prezzi del 6,5% rispetto a un anno fa. Dopo il picco dell’inflazione di giugno, 9,1%, questo è il sesto calo di fila dell’inflazione annuale anche se i prezzi continuano a mostrare un incremento molto superiore alla media degli ultimi decenni.
I costi per l’abitazione, in rialzo del 7,5% annuale, e, più in generale, quelli per servizi, cresciuti del 7%, rimangono invece ai livelli più alti dal 1982. Sono le componenti, soprattutto la prima, con gli effetti più duraturi. Questo significa che la banca centrale americana ha ancora spazio per rialzare i tassi tanto più in uno scenario di crescita economica e disoccupazione ai minimi. Lo scenario però è molto meno chiaro rispetto a dodici mesi fa. Allora prevedere un continuo rialzo dei prezzi e dubitare delle previsioni ufficiali sembrava un calcolo semplice.
I mercati ieri hanno scommesso sul rallentamento dell’inflazione e dell’economia e su un’inversione delle politiche monetarie delle banche centrali che a un certo punto si troveranno strette tra un’inflazione in calo e il peggioramento del quadro economico. Il punto di inversione, questa sarebbe la tesi, si avvicina e alcuni segmenti dell’economia, l’immobiliare o il mercato delle auto usate, sembrerebbero confermarlo. A un certo punto il consumatore americano dovrà tirare la cinghia in un contesto di tassi ai massimi da quindici anni. L’economia si potrebbe bloccare improvvisamente. Il rialzo dei tassi finora è stato controbilanciato da una politica fiscale ancora estremamente generosa. Più si allunga l’orizzonte, più diventa difficile fare ipotesi su un ampio numero di variabili: inflazione, rallentamento economico, tensioni sui mercati energetici e geopolitiche, politica fiscale e tornate elettorali.
Allo stesso tempo diventa meno prevedibile l’azione della Fed che da un lato deve fronteggiare un rialzo dei prezzi ancora alto, soprattutto nelle componenti meno volatili, e dall’altro deve tenere conto dei segnali di rallentamento economico. Ne segnaliamo uno su tutti: i prezzi delle auto usate a dicembre sono scesi di quasi il 9% rispetto a un anno fa.
Oggi ci troviamo in uno scenario di calo dell’inflazione che potrebbe continuare e accelerare se il rallentamento economico dovesse arrivare. È una possibilità che non si può escludere; la velocità e l’accelerazione di questo andamento sono una previsione molto complicata. Estendendo l’orizzonte temporale si potrebbe assumere una ripetizione delle politiche a cui abbiamo assistito nel 2008: nuovi tagli di tassi e nuovi aiuti. Per questo è più facile fare previsioni di lungo periodo e assumere una lunga fase di prezzi in rialzo e di inflazione sensibilmente più alta di quella vista negli ultimi tre o quattro decenni. Nel breve invece si potrebbe assistere a una fase diversa e perfino contraria fino al punto di rottura che costringerà le banche centrali a cambiare rotta. Per ora si scommette sulla seconda parte del 2023.
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