Per il dato inflattivo Usa, che verrà pubblicato martedì 13 settembre 2022 alle 14.30 e relativo ad agosto 2022 in tendenziale sull’anno, si stima un tasso dell’8,6-8,7% con valore minimo non sotto all’8,3%.
Il Consensus Bloomberg degli operatori di mercato stima l’8,1%, quindi diverge in maniera sensibile per i valori puntuali dalla presente stima e soprattutto ancora in decrescita tendenziale, mentre considerando l’intervallo di riferimento c’è una sostanziale identità di aspettative.
L’impostazione di calcolo e di stima di questo intervento si basa però sempre sullo schema di fondo che l’inflazione attuale degli Stati Uniti è dovuta per il 70-75% a shock esogeni dei fattori di offerta e per il residuo 25-30% a eccesso della domanda aggregata, mentre nell’Unione europea si può dire che l’intensità da shock esogeni sulle cause dell’inflazione arrivi al 90% circa. Di fatto, quindi, la differenza tra l’inflazione degli Stati Uniti e quella europea risiede solamente nel grado di intensità dell’azione dei prezzi dei fattori di offerta esogeni – in senso stretto, l’energia – che è quasi integrale per l’Europa, mentre è enorme e assolutamente predominante per gli Stati Uniti.
Per il mese di luglio in America il valore inflattivo tendenziale è stato pari all’8,5% rispetto al 9,1% di giugno, solo a causa di pressioni e regolamentazioni sotto traccia effettuate dalla Casa Bianca e dai vari dipartimenti interessati, nei confronti degli operatori del mercato energetico, in primis e soprattutto di quello del petrolio, affinché conducessero una politica di prezzi al ribasso per i consumatori finali: si pensi, ad esempio, alle stazioni di carburanti eccetera. Tutto questo però non sulla base dei prezzi di mercato riguardanti le quotazioni del barile Wti e Brent, ma sulla base di un progetto di sperata discesa delle quotazioni nei prossimi mesi.
Queste, a mio avviso, sono però aspettative troppo rosee per come è la situazione attuale del contesto internazionale. Infatti, già a partire dal 30 agosto il barile di petrolio Wti è tornato ad una quotazione di 98,50 dollari/barile, salvo poi affrontare una repentina discesa che nell’arco di tre giorni, e cioè entro il 2 settembre, lo ha riportato alla quotazione di 87,50 dollari/barile Wti (questa discesa, avvenuta solo sulla base di rumors economico-finanziari, è l’immagine nitida e chiara dell’intervento speculativo sui futures del petrolio condotto sotto la regia del Tesoro Usa).
Nei fatti gli Stati Uniti, al contrario, hanno mancanze strutturali quali-quantitative di petrolio che non sono nella possibilità di risolvere da soli, e sono proprio queste mancanze ad essere la principale porta d’ingresso al loro fenomeno inflattivo, il quale poi – è sempre opportuno sottolinearlo – riguarda ormai il mondo intero.
Le dinamiche della domanda aggregata, come abbiamo già detto, che pesano per circa il 25-30% e questo a causa della politica dei sussidi durante la pandemia del Covid 19 e per le successive strozzature all’offerta aggregata dovuta alla repentina ripresa della domanda, mentre la liquidità che ha aggiunto la Fed al sistema nello stesso periodo ha poca relazione con l’inflazione odierna, dato che è stata nella quasi totalità liquidità fornita ai grandi attori economico-finanziari per far sì che i corsi di Wall Street non precipitassero all’ingiù e così aprire una crisi stile 1929.
Allora, le mosse che la Fed può implementare con tassi inflattivi in area 9% non possono da sole contrastare questo fenomeno dell’innalzamento dei prezzi, e a riprova di ciò segnalo tutte le azioni del presidente Usa, Joe Biden, in ambito interno ed esterno: all’interno, moral suasion sui grandi players energetici; all’esterno, tutta la pressione possibile sull’Opec+ per aumenti sensibili della produzione petrolifera, con in aggiunta tentativi di accordi temerari con Iran e Venezuela per cercare di fare a meno dei 700.000 barili giornalieri di petrolio russo. E’ utile ricordare che da quando sono diventate operative le sanzioni statunitensi sull’importazione di petrolio russo, e cioè da maggio o giù di lì, l’America, nelle more di accordi che non decollano con Iran e Venezuela, sta attingendo saltuariamente alla sua riserva strategica per cercare di tamponare le falle, ma – lo si ripete con forza – sono solo tentativi di facciata, di intonacatura, mentre i problemi strutturali si inacerbiscono.
Date perciò tutte le premesse di cui sopra, tocca ora analizzare i numeri per avere contezza chiara della situazione inflattiva per gli Stati Uniti, e per fare ciò illustrerò di nuovo le cifre già tante volte elencate in interventi precedenti; abbiamo così, come dato di partenza, che il petrolio rappresenta il 35% di tutte le fonti mondiali di energia prodotte e consumate, mentre il gas ha un peso del 19% e il carbone del 30%; quindi il residuo del 16% è coperto per il 9% dall’energia nucleare e per il 7% dalle fonti energetiche green e rinnovabili.
Il gas è soprattutto consumato nelle aree più ricche del pianeta per riscaldamento e produzione di elettricità, e questo è il motivo della forte dipendenza Ue dal gas, mentre petrolio e in subordine carbone provvedono a fornire di energia le aree dove ci sono meno infrastrutture di rete o pipelines; però rispetto a carbone e gas, il petrolio, oltre che essere la fonte più consumata di energia a livello planetario, è anche anelastico rispetto agli altri due combustibili perlomeno per il 20% di esso e questo perché il parco automobili, autocarri, aerei , navi e mezzi militari e industriali per funzionare necessita di petrolio (ci vorrebbero perlomeno 15 anni a sostituire il petrolio con il gas, e in molti casi tale sostituzione non è ancora tecnologicamente possibile).
Al contrario, se il petrolio dovesse sostituire gas e carbone dall’oggi al domani, ci vorrebbero non più di 2 o 3 mesi per effettuare questo cambio, solo che poi, se il pianeta intero utilizzasse solo petrolio al posto di carbone e gas, in base alle riserve attualmente conosciute e alla tecnologia attuale, in capo a 20-25 anni il petrolio andrebbe esaurito.
Quindi per il suo peso percentuale assolutamente preponderante e per una sua certa caratteristica di marginalità nei quantitativi e di anelasticità nell’utilizzo, il fattore che dà, e dirige, il là ai prezzi dell’energia mondiale è il petrolio. Non ci si lasci confondere dalle dinamiche che stanno avvenendo sul mercato europeo del gas, dove situazioni dei mercati locali e di breve-medio periodo hanno creato una sorta di bolla, che appunto il più rapidamente possibile andrà a ritracciare sulla dinamica petrolifera.
In parole più semplici, le iperboli di prezzo del mercato del gas europeo hanno comunque di sfondo gli incrementi medi anche del 100% e oltre del petrolio a livello mondiale, e quindi la correlazione di fondo è robusta.
(1 – continua)
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