Si è concluso sabato sera il 45° seminario internazionale della Federal Reserve Bank of Kansas City, un evento importante perché i partecipanti al simposio includono banchieri centrali, ministri dell’Economia e delle Finanze, accademici e operatori sui mercati finanziari di tutto il mondo.
Si sperava che, dopo due anni online, quest’anno si sarebbe tenuto in presenza. Tuttavia, la recrudescenza della pandemia da Covid-19 e le difficoltà dei trasporti aerei hanno reso necessario anche quest’anno un seminario a distanza, utilizzando la tecnologia della Federal Reserve Bank of Kansas City e senza godere del magnifico panorama delle montagne del Wyoming che offre Jackson Hole.
Il tema di quest’anno è stato “Reassessing Constraints on the Economy and Policy” (Riesaminare i vincoli su economia e politica). Il simposio ha inteso esplorare l’emergere di vincoli economici durante la pandemia e come le considerazioni sulla politica dell’offerta sono tornate al centro della scena. Le strozzature e le carenze hanno limitato l’offerta economica, anche se i livelli storici di accomodamento fiscale e monetario hanno portato a un’impennata della domanda, con conseguente squilibrio che ha spinto l’inflazione verso l’alto a livello globale.
Inoltre, la straordinaria e spesso innovativa risposta politica globale alla pandemia invita a interrogarsi su quali determinanti vincolino la politica macroeconomica, come le preoccupazioni sulla sostenibilità fiscale e le dimensioni dei bilanci delle banche centrali.
Tra i banchieri centrali l’intervento più atteso era quello del presidente della Federal Reserve americana, Jerome Powell. Era presente, e ha fatto un intervento, anche la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde. Anche se la Lagarde ha uno stipendio che è il doppio di quello di Powell, il suo intervento era meno atteso in quanto era (ed è) molto vincolata nel cosa dire: il Consiglio della Bce si riunirà l’8 settembre e la Lagarde avrà un difficile compito di mediazione tra coloro che vogliono in Europa una politica monetaria più restrittiva dell’attuale (il presidente della Banca centrale tedesca si è già espresso in questo senso) e coloro (Francia e Italia in primo luogo) che ne vorrebbero, invece, una più accomodante.
Un anno fa, proprio a Jackson Hole, Powell aveva fatto una seria gaffe: affermare il carattere “temporaneo” e “transitorio” dell’inflazione allora già in pista.
Nel discorso mattutino del 27 agosto, è stato molto più prudente. Nella prima parte (circa una ventina di minuti) ha fatto una magnifica lezione di politica monetaria americana dal 1950 circa all’altro ieri per analizzare nella seconda parte gli strumenti di cui dispone oggi l’autorità monetaria per tenere sotto controllo un’inflazione essenzialmente da domanda di manufatti, la cui produzione non è stata in grado di tenere il passo a causa delle disfunzioni economiche causate dalla pandemia. Non ha annunciato un cambio di rotta, ma detto che ha gli strumenti per farlo, quando sarà il momento.
A mio avviso, ciò vuol dire che il momento non è ancora arrivato e che i tassi di interesse elevati probabilmente persisteranno “per qualche tempo” in quanto l’inflazione al top da oltre 40 anni mette fortemente in guardia contro un allentamento prematuro della politica monetaria.
Cosa significa questo per l’Europa e per l’Italia? In primo luogo, nel Vecchio Continente all’inflazione da domanda (causata dalle implicazioni economiche del Covid-19) si somma una gravissima inflazione da costi dell’offerta, provocata soprattutto dall’aumento dei prezzi di prodotti energetici sui quali, per errori del passato, oggi l’Europa ha pochissimo controllo.
In breve, se il monitoraggio della politica monetaria americana permetterà un allentamento nei freni monetari nel primo semestre 2023, è molto probabile che in quel momento la Bce debba stringere i suoi. Dai due lati dell’Atlantico emergerebbero politiche monetarie divergenti. Con inevitabile ulteriore deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro.
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