Domani verrà diffuso il dato tendenziale annuo dell’inflazione Usa riferito al mese di giugno. Nel presente intervento si stima un tasso del 4,2% in leggera crescita rispetto al 4% di maggio con un valore minimo dell’intervallo al 3,9%, e comunque molto lontano, per ora, dal dato di giugno 2022 pari al 9,1%; si stimano pressioni di accrescimento mensili dello 0,2% in quanto la dinamica dei prezzi ha oramai quasi del tutto assorbito il nuovo livello medio del prezzo Wti del barile di petrolio a un intorno di 70 dollari da qualche mese; il prezzo ordinario del barile in valore medio negli anni antecedenti al 2020 lo si può centrare tra i 48 e i 56 dollari (intervallo non precisissimo, ma abbastanza robusto).



Ora abbiamo un range del tasso inflattivo da 2-3 mesi sotto il 5%, e in quanto tale, qualunque ne sia la causa, manovre sui tassi di interesse da parte della Fed sono molto efficaci sulla domanda interna in quanto ci troviamo di fronte a un’inflazione al momento “tecnicamente” bassa. D’altra parte, i desiderata della Fed sarebbero quelli di addivenire nel corso di un anno al 2% tendenziale di lungo periodo com’era nel 2019, e per questo motivo la stessa banca centrale è pronta a ulteriori strette entro il 2023 arrivando forse a sfiorare il 6% dei tassi sui Federal funds, avendosi così la forchetta perfetta: tassi in aumento e superiori in livello assoluto ai tassi inflattivi e inflazione in discesa.



Lo schema della Fed dovrebbe essere quello non tanto dettato dall’altezza del tasso inflattivo, che come abbiamo già detto prima è di sua natura basso al momento, quanto quello piuttosto, encomiabile, di spegnere subito i piccoli incendi diffusi nel tessuto economico e non facendoli così propagare; si dovrebbe cioè fermare l’inflazione nei settori a elevato valore aggiunto, dove la qualità dei materiali e la professionalità media del lavoro unita alla produttività spinge per più che recuperare le erosioni inflattive di mesi precedenti.

Nei settori dell’alimentare e dell’energia, grazie al rientro del prezzo del petrolio, l’inflazione è di fatto rientrata; altra cosa è invece il nuovo livello dei prezzi assoluti e come i singoli percettori di reddito si trovino in relazione a questo aspetto; in generale, le categorie di reddito medio basso dovrebbero subire il tasso inflattivo, e l’unica variabile è quando potranno rientrare a livello temporale a una vecchia capacità di spesa; i redditi medi e quelli superiori si può affermare che abbiano beneficiato dell’inflazione non in modo diffuso e generalizzato, ma per parecchi settori.



Il quadro presentato finora ha robuste impostazioni dinamiche, solo e solo se le ipotesi di fondo si rivalessero corrette; al contrario io credo che l’assunzione del Fomc della Fed si basi ancora una volta su una forza del dollaro intangibile e sovrana come asset di riserva nel mondo; credo che tali assunzioni oramai siano fuori luogo e forse potranno diventare pericolose; a mo’ di verifica, si ricorda che dal 3 luglio 2023 si sono aggiunti i tagli russi di export di petrolio per 500.000 barili giornalieri che si sommano al milione già entrati in funzione dal 1° luglio da parte dell’Arabia Saudita; tali misure è stato poi confermato che avranno valore fino a tutto il 2024.

Va poi rimarcato che nell’ultima sessione assembleare dell’Opec+ si è decisa una cosa innovativa e anche eccentrica, e cioè che Arabia Saudita e Russia possono effettuare i tagli che ritengono opportuni semplicemente comunicandoli al consiglio Opec+ e quindi non più la necessità di attendere le dovute riunioni ministeriali. Sappiamo altresì benissimo che la materia prima petrolio è al momento un’arma di scontro geopolitico tra Usa da una parte e Arabia Saudita e Russia dall’altra, perdendo così l’elemento rassicurante di una risorsa costante e gestibile in tutti i livelli di quantità e di prezzi.

Gli Stati Uniti d’America sono ricorsi finora, per calmeriare i prezzi del petrolio, a operazioni speculative e di annuncio per risolvere i guai, ma si tratta di operazioni di breve periodo e solo per prendere tempo; ci si ricorda, ad esempio, che sono mesi che tantissimi Etf sul petrolio stanno short sui mercati e hanno fatto vendite ingenti in relazione al petrolio abbattendone i prezzi, sulla scorta di una recessione in arrivo?

Improvvisamente, poi – manina furba – il 28 giugno viene comunicato una crescita acquisita del Pil Usa del 1° trimestre 2023 al 2%; ma tale ultimo dato cozza con una recessione in arrivo e dimostra solo il tentativo speculativo condotto dalla Casa Bianca e dal Dipartimento del Tesoro di manipolare i prezzi della materia prima verso il basso.

Risultato, l’irritazione sempre più pronunciata di Arabia Saudita e Russia che hanno deciso che il giusto prezzo medio del petrolio deve essere in un range tra i 90 e i 100 dollari al barile Wti; tutto questo in quanto queste due nazioni considerano sensibilmente sopravvalutato il dollaro statunitense. Ma questo risultato non è digerito dagli Usa che cercano in tutti i modi di non perdere e ristabilire al contrario la loro passata egemonia.

Ed ecco allora perché credo che lo schema iniziale presentato dei desiderata della Fed sia oramai una pura chimera, e il consequenziale sospetto – che personalmente poi non lo è tanto – che le manovre e gli annunzi sui tassi dei Federal funds siano più che politiche monetarie, delle politiche valutarie che cercano di apprezzare il dollaro.

In tale situazione si deve poi sottolineare che l’attuale Presidente della Fed Powell non è un macroeconomista di formazione, ma un bravo funzionario tenuto su da tanta esperienza, mentre al contrario la Lagarde anch’essa non macroeconomista di formazione, è un deleterio e pericoloso Presidente Bce. Cioè, più le condizioni diventano dinamiche e perigliose, più al Presidente Powell non basta l’ottima esperienza operativa, ma gli serve il supporto teorico di altri, e quindi per tale motivo diventa più influenzabile e incerto; in questo momento Powell è, secondo me, troppo succube dell’inquilino della Casa Bianca – di cui personalmente non nutro stima alcuna – e anche l’intero board Fed. Gli impongono di credere, insomma, a un mondo che non esiste più.

giovanniricci669@gmail.com

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