L’inflazione a marzo negli Stati Uniti è scesa al livello più basso degli ultimi due anni attestandosi al 5%. La reazione dei mercati, inizialmente positiva, nel corso della giornata ha cambiato di segno e gli indici hanno chiuso al ribasso. L’incremento dei prezzi al netto delle categorie più volatili, energia e alimentari, rimane al 5,6% e in rialzo, seppur leggero, rispetto al dato di febbraio. Il costo per l’abitazione è il principale ostacolo a una discesa. Dopo un ciclo di rialzi serrato che ha portato i tassi al 4.75%-5.0% l’inflazione rimane sensibilmente più alta dell’obiettivo del 2% ed è dura a morire. Per questo i mercati, dopo la pubblicazione del dato, scontavano un altro rialzo di 25 punti base prima che la Fed si fermi.



L’inflazione scende ma rimangono alcune domande. Nel breve le principali questioni aperte sono quanto a lungo rimarrà a livelli superiori al 2% e poi quanto velocemente la Fed invertirà la rotta. Il mercato del lavoro è la variabile chiave in questa equazione e per ora, nonostante un rallentamento, rimane in salute. La persistenza dell’inflazione potrebbe essere la sorpresa negativa delle prossime settimane prima dell’inevitabile discesa. I costi energetici che negli ultimi mesi hanno contribuito a far rientrare l’inflazione, petrolio e gas in primis, rimangono osservati speciali perché rispondono a dinamiche che sono in parte esogene al quadro economico.



Estendendo l’orizzonte si arriva alle politiche fiscali del Governo americano che tra qualche mese dovrà discutere del raggiungimento del tetto del debito. Le politiche fiscali non solo sono state estremamente generose, ma hanno annullato gli effetti della stretta monetaria; qualsiasi cambiamento avrebbe un effetto sul ciclo economico decisivo perché nel frattempo i tassi di interesse sono esplosi. Questo è vero, fatte le debite proporzioni, anche in Europa e in Italia.

Nel medio lungo periodo ci si interroga sulla necessità delle banche centrali di alzare gli obiettivi di inflazione dal 2% attuale. Il raggiungimento di questo obiettivo potrebbe avere un costo eccessivo per la crescita. Politicamente l’assunzione è che i lavoratori e le famiglie preferiscano avere un lavoro piuttosto che meno inflazione. È l’ammissione che ciò che spinge l’inflazione è strutturale e prende le mosse da cambiamenti geopolitici e dalle politiche industriali in senso “green” che molti stati occidentali stanno attuando. I bilanci delle banche centrali rimangono inoltre vicini ai massimi e il ciclo economico si avvicina all’inevitabile esaurimento. È lecito chiedersi a che livelli dovranno espandersi ancora per contrastare una crisi economica. Il rischio in questo caso è che l’inflazione diventi strutturale.



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